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EDITORIALE

#Vaccini sempre e comunque: un tabù protetto da importanti interessi economici

#Vaccini sempre e comunque: un tabù protetto da importanti interessi economici
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3 - 5 minuti di lettura

Trattare il tema dei vaccini significa affrontare un vero e proprio tabù, probabilmente il più grande della storia.
Lo diventa nel momento in cui lo affronti con doverosa critica, considerando che la medicina in generale non è e non sarà mai una scienza esatta.

Lo dovrebbero sapere coloro che in questi giorni hanno orientato il proprio interesse verso i casi di meningite emersi in alcuni paesi tra il bergamasco e il bresciano.
Sei casi di meningite di provenienza diversa, con due decessi.
Ma non solo, anche il “virus misterioso” proveniente dall’Est, fatto rientrare nel genere dei coronavirus, sul quale sono state fatte rimbalzare notizie allarmanti per giorni, fino alla dichiarazione dell’OMS di pochi minuti fa che informa dell’inesistenza di trasmissioni uomo-uomo fuori dalla Cina.

In queste circostanze il sensazionalismo dei giornali ha fatto da padrone, alimentato da molta ignoranza unita alla volontà di creare allarmismo, omettendo informazioni utili per la popolazione che avrebbero evitato anche comportamenti psicotici davanti ai centri vaccinali. I più attenti aggiungerebbero anche dell’altro, ma senza le doverose prove, che magari un giorno arriveranno, verrebbero scambiate solo per illazioni.


Manca informazione, manca quella informazione trasparente che avrebbe permesso di sapere a tutti coloro che si sono diretti verso i centri vaccinali che quel vaccino non avrebbe evitato loro un eventuale contagio, seppur remoto.

Bastava una lettura da fonti ufficiali del Ministero della Salute per sapere che il periodo di incubazione della meningite va da un minimo di due a un massimo di dieci giorni, e nel contempo apprendere che un vaccino, per ottenere immunizzazione peraltro nemmeno garantita, può richiedere almeno tre mesi.

Ma non sono gli unici fatti che sollevano dubbi anche sulla incapace gestione delle istituzioni di gestire con calma e trasparenza tutta la vicenda: perchè non è proseguita la ricerca del portatore sano? Perchè non è stato fatto un semplice tampone faringeo a campione sulla popolazione che avrebbe permesso anche la raccolta di ulteriori informazioni epidemiologiche sul territorio?

Non si può certo attribuire la questione a sostenibilità dei costi, anche perchè quanto potrà mai incidere sulla spesa pubblica un kit a differenza di un vaccino?

Una delle ultime conferenze con una importante partecipazione, tra pubblico e relatori, era quello di Alessandria, “Primum Non Nocere”. Uno degli interventi portava con se l’esempio più eclatante di cosa significa affrontare un tabù, e riguardava il tema “uranio impoverito” e vaccinazioni ai militari.

Dalle parole del relatore i più attenti hanno compreso che fin quando i danni ai militari restavano legati all’uranio, le porte delle “stanze del potere”, gli ambienti militari, le varie commissioni, restavano aperte e c’era un dialogo attivo con le istituzioni.
Chi ha avuto la fortuna di non vivere da vicino il dramma, ricorderà comunque quanto le pagine dei quotidiani e il mainstream televisivo erano affollati dal tema, era pressoché impossibile non averne almeno sentito parlare.
Quando i danni iniziarono a essere correlati alle massicce dosi di vaccino ai cui i militari erano sottoposti, molti addentro al tema si aspettavano una attenzione mediatica spontanea e di pari livello.

Ma non fu così, e vissero questa situazione le associazioni e i comitati delle famiglie che iniziarono a trovare porte sbarrate se gli argomenti uranio/vaccini venivano correlati tra loro.

Non dovremmo stupirci. Anche una giornalista come Giulia Innocenzi si accorse di affrontare un tabù con la pubblicazione del libro VacciNazione.
Per quanto lo scritto è orientato più ad una analisi di politica sanitaria, la stessa colse una censura totale quando apprese di essere l’unica giornalista che passeggiava nei vialetti di quel parco di Pesaro che, a luglio 2017, ospitò 60.000 genitori provenienti da ogni parte d’Italia, per manifestare contro la legge 119.

Manifestazione che infatti non ebbe alcuno spazio sui media nazionali, impegnati più a proteggere una legge sbagliata e piena di falle e lati oscuri.
La stessa giornalista dichiarò, forse per dipanare le polemiche nei suoi confronti, che lei avrebbe vaccinato i propri figli e che l’atto non era in discussione.

Di acqua sotto ai ponti ne è passata molta, ancora oggi siamo qui con la medesima censura e lo stesso tabù.

Una volta c’era un detto, divenuto un intercalare ripetuto spesso: “.... non me l’ha mica ordinato il dottore....”
Effettivamente, il ruolo del dottore non era in discussione e ciò che il dottore ordinava era “legge”.
Poi arrivò quella sanità privata che portò l’interesse economico in mezzo alla salute, da lì l’interesse di alcuni che nella sanità introdussero cure inutili o sbagliate solo per alimentare business sulla pelle dei pazienti.
E quella fiducia del medico venne meno.

Oggi ci si lamenta della sanità, non funziona, c’è corruzione, incompetenza, interessi economici, e questo malessere si ripete da nord a sud.

Ma lo stesso metro non lo si usa sui vaccini, vi siete mai chiesti il perché?
Tutta comunicazione. La prevenzione è tutta lì, ineccepibile e inattaccabile, sicura e senza dubbio alcuno.
Nella psiche umana certi meccanismi sono rigidi, una epidemia si fronteggia con un vaccino, non importa se sia troppo tardi considerando i tempi di una eventuale e incerta immunizzazione.
Ancora oggi si leggono notizie dove al termine “vaccino” si correlano patologie senza senso, dal colesterolo fino ad arrivare al cancro.
Peccato che per quest’ultimo si cerchino soluzioni da decenni, considerando che le raccolte fondi durano da ormai cinquant’anni.
Il vaccino è visto come la soluzione per ogni male, quando in realtà la prevenzione primaria proviene da altrove, tra cui la cura dell’ambiente che ci circonda.

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