È tempo di vacanze per molti italiani, impegnati e distratti da spiaggia e olimpiadi di Tokyo, tra relax e selfie in tour per il bel paese mascherato.
Forse banale asserire che la morte non va in ferie e anche la verità, quella autentica, quella fatta di fatti e di atti, in estate si avvale del diritto all’obbligo, soffocata da notizie, informazioni e tg che sembrano essersi congelati nell’ormai lontano febbraio 2020.
Lo scorso 27 luglio scomparve in tragiche circostanze il Dottor Giuseppe De Donno, 54 anni, padre della terapia con il plasma iperimmune, cura sperimentale utilizzata con largo successo a poche settimane del conclamarsi della pandemia, quando i medici non avevano armi efficaci per combattere il covid, protocollo in uso prima all’ospedale di Mantova, poi anche a Padova e Pavia, oggi tristemente interrotto.
De Donno, ex primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, dal 5 luglio scorso aveva cominciato l’attività di medico di base dopo essersi dimesso dall’azienda ospedaliera, prima elogiato per aver salvato con il plasma tutti i suoi pazienti (oltre 50), poi deriso e bistrattato dal mainstream, vittima dei suoi straordinari e genuini successi, scarsamente remunerativi per il sistema sanitario nazionale così come lo vediamo oggigiorno.
Un’eredità la sua, immensa e colma di speranze, forse la chiave di Volta, insieme alle cure domiciliari, per chiudere il capitolo più buio dei nostri tempi.
Amato e ricordato dai suoi pazienti che con gratitudine hanno affettuosamente presenziato alle sue esequie presso la Basilica di Sant'Andrea a Mantova, il Dott. De Donno lascia una moglie e due figli.