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Così l’idrossiclorochina finisce al Consiglio di Stato

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5 - 9 minuti di lettura

Cos’è l’idrossiclorochina? Fa bene o fa male? Come si affronta oggi il Covid? Ci si può curare a casa? Proviamo a rispondere con l’aiuto di un medico, l’oncologo e professore Luigi Cavanna, che ha seguito centinaia di malati di Covid, trattandoli con questo farmaco al loro domicilio. Da maggio però non si può più prescrivere né somministrare idrossiclorochina (vedremo perché).

Il 10 dicembre il Consiglio di Stato si esprimerà sull’esposto presentato da alcuni medici che chiedono il via libera al farmaco e di poter prescrivere in scienza e coscienza. 

L’ antefatto

L’idrossiclorochina si usa da oltre 50 anni per curare la malaria e alcune malattie autoimmuni. Per le sue proprietà immunomudulanti, anti trombotiche e anti virali è stata impiegata anche per contrastare alcune importanti infezioni, dall’HIV all’Ebola, dalla Sars alla Mers. Costa poco.

Durante la prima ondata del Sars-Cov-2, l’idrossiclorochina era presente nelle linee guida dei Paesi occidentali colpiti dall’infezione (approvata, dunque, anche da Aifa ed Ema) per trattare i malati, sia in ospedale che a domicilio.

A maggio però esce uno studio su Lancet – rivelatosi poi fallace – che richiama le attenzioni delle agenzie regolatorie. Si afferma che l’idrossiclorochina era stata causa di un aumentato numero di decessi, a riprova si millanta l’analisi di 96mila cartelle di pazienti in 970 ospedali nel mondo. Ma, a una prima seria verifica, le basi di quel lavoro, crollano. Nessuno aveva esaminato quelle cartelle e la società che eleborò i dati falsi finì indagata. Cliccate qui.

Tuttavia l’idrossiclorochina è rimasta inaccessibile ai malati di Covid. Sospesa la somministrazione nei Paesi occidentali già a poche ore dalla pubblicazione dello studio fallace. A giustificazione, oggi, Aifa cita la posizione dell’OMS che “per prudenza ne ha sospeso i trial”. Sarebbe pericolosa per il cuore e potrebbe aumentare i decessi. Qui.

La situazione oggi

In mezzo mondo, i medici che, nei mesi di marzo aprile hanno trattato i malati con quel farmaco, hanno raccolto e pubblicato i loro dati. Secondo chi l’ha prescritta, “soprattutto nei primi giorni di malattia”, l’idrossiclorochina ha contribuito a contenere i decessi. Sono stati fatti numerosi confronti sia con con gruppi di pazienti ricoverati sia con chi si è curato a domicilio. Qui uno studio osservazionale belga su 8.075 partecipanti.

Si sono poi studiati i decorsi dei pazienti che non hanno usato quel farmaco e si è giunti alle conclusioni che sintetizza Luigi Cavanna, oncologo, primario all’ospedale di Piacenza e ricercatore: “La mia esperienza con l’impiego di quel farmaco è più che buona, ho seguito personalmente a casa oltre 300 malati, dei quali il 30 per cento con forme severe e un altro 30 per cento con forme moderate. Di questi nessuno è morto e i ricoverati sono stati meno del 5 per cento”. 

E poi. “Mi sono sentito ringraziare con queste parole, ‘dottore, stavo così male che pensavo di non farcela, dopo 3 giorni di terapia la mia vita è cambiata”.

Lo staff del professor Cavanna ha raccolto i dati in due pubblicazioni sui malati di tumore che hanno avuto il Covid e un terzo lavoro verrà spedito nei prossimi giorni per essere pubblicato. Intanto, altre ricerche sono state pubblicate, dapprima una metanalisi, ossia una summa di 26 studi che riferiscono dell’impiego di idrossiclorochina su 44.521 malati di Covid e che mostrerebbero una riduzione di mortalità con il farmaco a basse dosi. Cliccate qui.

Poi un altro lavoro tutto italiano che riunisce le esperienze di 33 ospedali della Penisola in uno studio osservazionale multicentrico che trovate qui. Sono stati seguiti i decorsi di 3.451 pazienti non selezionati, ricoverati dal 19 febbraio al 23 maggio. Ed è emersa una mortalità ridotta del 33% in chi ha usato quel farmaco.

In luglio, 13 Regioni italiane hanno chiesto di poter usare l’idrossiclorochina off label nei trattamenti domiciliari, cliccate qui. Ma Aifa è rimasta ferma sulla sua posizione. Qui.

Nel frattempo ci sono stati ricorsi al Tar e si attende il verdetto del Consiglio di Stato del 10 dicembre. Cliccate qui.

Per l’Ema è un farmaco che “se preso in dosi elevate induce al suicidio”

Il 30 novembre Ema pubblica una nota. Si dice che “a seguito di una revisione dei dati sono emersi 6 casi di disturbi psichiatrici in pazienti Covid a cui erano state somministrate dosi di idrossiclorochina superiori a quelle autorizzate”. Cliccate qui.

Professor Cavanna ha osservato anche lei la tendenza al suicidio?

“Qualsiasi farmaco preso a dosi da cavallo fa male…che dico farmaco, anche la pastasciutta…Penso che ci si debba avvicinare ai dati con umiltà e senza pregiudizi. Invito a guardare a ogni terapia in termini di costi e benefici, tenendo presente gli effetti collaterali e la situazione di ciascuno. A Piacenza ci sono stati oltre 900 morti nella prima ondata, in quel periodo, dei pazienti che noi seguimmo a domicilio trattati con idrossiclorochina – all’incirca 300 – i ricoveri sono stati inferiori al 5% e nessuno è morto”.

Per quanti giorni va somministrata l’idrossiclorochina? 

“Per una settimana, non di più. Si ottenevano miglioramenti dopo due-tre giorni. Abbiamo osservato che è importante dare il farmaco ai primi sintomi, ed è sufficiente un basso dosaggio”.

Cosa pensa del fermo divieto delle agenzie regolatorie?

Che per onestà sia necessario spiegare ai pazienti che hanno ricevuto l’idrossiclorochina nei primi mesi e sono guariti che cosa è successo; se hanno rischiatoche cosa hanno rischiato, e come hanno fatto a rimettersi in piedi. Una spiegazione è dovuta. Prima il farmaco era ammesso e lo è stato per tre mesi, ora è vietato. Perché Aifa non va vedere come stanno queste persone?”.

Aifa sostiene che non esistono studi randomizzati sui pazienti Covid

“Abbiamo molti dati, non solo noi di Piacenza, ma da tutta Italia, penso alla provincia di Alessandria, a Novara, a Milano, e a Bologna. Sono stati pubblicati gli studi osservazionali (vedi sopra), una metanalisi che mostra la riduzione di mortalità su 40mila malati. Questi report vanno messi sul tavolo. Si tratta di  uomini e donne, non di esperimenti in vitro. Sono un sostenitore dello studio randomizzato (si dividono i pazienti in due gruppi omogenei, a uno si somministra la miglior cura esistente più il farmaco da testare, all’altro la miglior cura più il placebo) ma lo studio è sempre un mezzo, non un fine. I malati bisogna guardarli in faccia e, in mancanza di studi randomizzati utilizzare farmaci di provata efficacia ‘sul campo’, di facile somministrazione, di costo contenuto e con pochi effetti collaterali.

Cosa farebbero all’Aifa se qualcuno di loro o dei loro familiari si ammalasse di Covid e si ritrovassero con una febbre alta che non passa dopo tre giorni, tosse e fiato pesante? Si accontenterebbero dell’antipiretico e del saturimetro (sono le indicazioni per curarsi a casa) aspettando forse di peggiorare per essere ricoverati d’urgenza? È come se misurassimo la pressione alta senza dare alcun farmaco ma consigliando di tenere a casa l’apparecchio per la pressione…”

Il Covid si può curare a casa?

Assolutamente sì, la cura precoce, fatta cioè nei primi giorni di febbre alta, tosse e affanno, consente ai pazienti di evitare il ricovero in ospedale e di guarire. La mia esperienza coincide con quella di centinaia di medici in Italia e migliaia nel mondo che hanno curato a casa i pazienti”.

Cosa prendere ai primi sintomi?

“Chi non ha sintomi o ne ha pochi non deve fare nulla, isolarsi con le precauzioni per non infettare gli altri. Chi ha sintomi può assumere un antinfiammatorio. Se sopraggiunge tosse o se la febbre non passa in 24-30 ore bisogna rivolgersi al medico di famiglia che può attivare le Usca, Unità mediche territoriali che, a domicilio, possono visitare, fare un’ecografia ai polmoni, fare un tampone e valutare il livello dell’ossigeno” (nel Piacentino funziona così).

Insomma, è importante agire subito?

“Sì. Durante la pandemia abbiamo visto arrivare in ospedale persone con alle spalle 10 e più giorni di febbre, tosse, dispnea, non va bene”.

Ma oltre all’antinfiammatorio? Antibiotico o cortisone?

“Decide il medico. Se c’è il sospetto che l’infiammazione abbia intaccato i polmoni l’antibiotico va consigliato. Il cortisone va dato non subito ma nei giorni successivi per evitare il picco infiammatorio. L’eparina se il paziente è allettato o fatica a muoversi. Fondamentale è misurare la saturazione di ossigeno”.

Come mai un oncologo cura i malati di Covid a domicilio?

“L’oncologo ha come background culturale la presa in carico del malato, lo segue nel suo percorso di cura e nei successivi controlli fino alla guarigione o alle cure palliative. Ricordo un paziente che ci disse che avrebbe dovuto interrompere la terapia perché il figlio non lo poteva più accompagnare in ospedale poiché avrebbe rischiato di perdere il lavoro. Era 20 anni fa. Decidemmo di istituire una rete territoriale che funziona ancora oggi: nelle zone senza ospedale ci sono i nostri presidi, portiamo le cure oncologiche vicino al domicilio del paziente e siamo stati i primi in Italia a eseguire le terapie nella Casa della Salute, in una vallata del Piacentino priva di ospedali”.

Con l’inizio del Covid vi siete comportati così?

“Un nostro paziente, malato di tumore, ci avvisò di avere tosse e febbre. Siamo andati a domicilio. È cominciata così…Poi sono stati trattati tanti altri malati, anche, e soprattutto, non oncologici”.

Guariti con idrossiclorochina?

“Esattamente”.

Oggi in ospedale a Piacenza avete tanti malati Covid?

“Molti meno che a marzo, grazie anche alla nostra rete di assistenza domiciliare”.

Ora cosa farete?

“Cercheremo di convincere Aifa a cambiare le linee guida con la forza degli argomenti ma anche con la determinazione che ci trasmettono i malati”.

Ci sono speranze?

“C’è un assoluto bisogno di cure precoci. Ci sono tanti dati, c’è un’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Armando Siri che ha a cuore la nostra causa e c’è il Consiglio di Stato”.

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