Ecco uno studio che spiegherebbe perché le persone che hanno ricevuto più dosi di vaccino a mRNA, contraggono più facilmente il virus Sars -Cov- 2. Il dato, la maggior suscettibilità alla malattia nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, è emer...
Ecco uno studio che spiegherebbe perché le persone che hanno ricevuto più dosi di vaccino a mRNA, contraggono più facilmente il virus Sars -Cov- 2. Il dato, la maggior suscettibilità alla malattia nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, è emerso da diversi mesi nelle tabelle dell’ISS e ne abbiamo parlato di recente anche qui grazie allo studio condotto dallo staff di Joannidis.
Ora c’è un nuovo lavoro pubblicato in pre print che confronta chi ha ricevuto 3 dosi di vaccino proteico Novavax con chi ha fatto 3 dosi di Pfizer o Moderna. E che individua in una disfunzione del sistema immunitario la maggior propensione ad ammalarsi.
Chi ha ricevuto un vaccino a mRNA sviluppa alti livelli di anticorpi della classe G4 (IgG4) una “tolleranza” che, nel caso dei patogeni, diventa anomala. Lo ha spiegato il professore di Farmacologia Marco Cosentino: “Questa particolare categoria di anticorpi svolge un ruolo fisiologico nell’indurre tolleranza dopo ripetute esposizione a determinati antigeni. Ad esempio, è responsabile della resistenza degli apicoltori al veleno delle api. Tuttavia, se la tolleranza riguarda microrganismi patogeni, il risultato può essere maggiore vulnerabilità alle malattie conseguenti e anche altre forme di malattie infiammatorie mediate dalle IgG4. L’idea è insomma che la maggiore frequenza di contagi Covid in persone plurivaccinate con i vaccini a RNA possa essere dovuta proprio a questo loro effetto di “distorsione” della risposta immunitaria a favore di una tolleranza deleteria.”
Ricordate quando ci dicevano di vaccinare i bambini (contro il Covid) per proteggere i nonni?
E quando dicevano ai medici e al personale sanitario che si sarebbero dovuti vaccinare obbligatoriamente per proteggere gli immunodepressi e i malati?
E ricordate che i direttori delle Rsa erano stati nominati tutori ai fini di vaccinare gli anziani non in grado di decidere, bypassando il no dei familiari, “per proteggere la salute degli altri ospiti?”
Tutto questo resterà un ricordo (si spera scritto nei testi di Medicina): dopo tre anni e tanti studi, è emerso l’opposto. Ossia: più vaccinati sono i bambini, più i nonni rischiano di ammalarsi di Covid. E dunque: più vaccinati sono i medici, più rischiano di ammalarsi i loro pazienti. Più vaccinati sono gli ospiti e gli operatori nelle Rsa, più rischiano tutti.
Negli USA è emerso un dato statistico sulla mortalità materna che dovrebbe allarmarci tutti. È riferito alle donne che muoiono durante la gravidanza o entro le prime sei settimane dal parto.
Quante?
Le tabelle dei CDC rivelano che i decessi delle giovani incinte sono addirittura raddoppiati in pochi anni. Nel 2018 il tasso di mortalità delle neomamme era di 17,4 ogni 100.000, nel 2021 è diventato 32,9 ogni 100.000.
Muoiono indifferentemente donne di ogni età e etnia.
Quale la causa?
Le ragioni sono diverse ma primeggiano le malattie dell’apparato cardiocircolatorio (arresto cardiaco, trombosi, crisi ipertensiva) e respiratorio (insufficienza respiratoria). Queste malattie sono classificate come SMM, (severe maternal morbidity).
Sono decessi che nulla hanno a che fare con la malasanità o con un’inadeguata assistenza al parto. Si tratta di donne nel fiore degli anni, che, mentre il loro figlio sta crescendo in grembo, o è appena nato, hanno un infarto, un ictus, una trombosi o un’insufficienza respiratoria. Malattie cardiocircolatorie che il più delle volte non danno avvisaglie e stroncano all’improvviso, perciò gravissime.
Sono tragedie colossali. Per i mariti, o i compagni, per gli altri figli. Per chi resta. Negli Usa il picco di mortalità nelle mamme si è registrato nel 2021.
Bard è la neonata delle intelligenze artificiali. Appartiene a Google e ha fatto il suo ingresso in società a marzo.
Ha un nome importante, rimanda a Shakespeare, detto il Bardo, ossia il poeta dei poeti, i bardi erano agli antichi cantori. Secondo il Libro Tibetano dei Morti, il bardo è anche il momento di passaggio dalla morte del corpo a una nuova forma di vita. Non sappiamo quanto i riferimenti culturali ed escatologici possano influenzare la nuova IA sperimentale. Di certo si è visto che Bard è stato salutato con entusiasmo.
Si suppone che possa affiancare in un futuro prossimo il motore di ricerca Google. Se così sarà, ogniqualvolta cercheremo informazioni avremo un algoritmo che decide di suo cosa dobbiamo leggere, che “filtra” le notizie, per noi. Qui trovate spiegato a cosa andremo incontro sostituendo i motori di ricerca con i chatbot AI.
Lo stesso Bard si presenta così: “Utile collaboratore creativo per liberare la tua immaginazione, migliorare la tua produttività e dare vita alle tue idee”.
Prima di debuttare in Italia, si è presentato ai media occidentali come divulgatore di notizie: potrà accadere che sostituisca i giornalisti? I testi realizzati sono ben fatti e formalmente indistinguibili da quelli da noi redatti. Dunque sì, potrebbe rimpiazzare diverse firme (per chi crede ancora che il mestiere significhi solo elaborare un testo…ma questo è un altro discorso).
Se stai male da morirne è perché ti è capitato il vaccino sbagliato (colore blu). Se stai male ma non muori, vuol dire che sei stato punto con la siringa di un lotto “moderatamente tossico” (colore verde). Se invece non ti succede nulla, vuol dire che la sorte benevola ti ha riservato il giallo. Ma questo è solo l’incipit.
E non è una favola per bambini. Purtroppo.
Il presupposto è uno studio danese, pubblicato a fine marzo, che mostra un’enorme variazione degli eventi avversi associati a diversi lotti del vaccino Pfizer. Qui. Gli autori hanno osservato che le reazioni avverse più gravi appartengono a pochi lotti che gli autori hanno chiamato “blu”(distribuiti al 4% della popolazione e associati al 47% dei decessi oltre che responsabili di una reazione ogni 6 somministrazioni); quelle che hanno provocato reazioni moderatamente gravi (verdi) sono state somministrate al 64% delle persone e sono collegate al 52% dei decessi; infine i lotti gialli distribuiti al 32% dei danesi e collegati a meno dell’1% dei decessi.
Chi l’avrebbe detto: dove sono state fatte le autopsie i decessi Covid diminuiscono di 4 volte.
E dove sono stati pubblicati i dati sulla mortalità generale (per tutte le cause) dei periodi pre e post pandemia, utili al confronto epidemiologico, si scopre che i morti Covid sono insignificanti e ricalcano quelli delle polmoniti.
Guardiamo l’abstract appena pubblicato sull’American Journal of Forensis Medicine and Pathology. Non è ancora disponibile il testo completo. Ma la sintesi è comunque illuminante. Dalle autopsie fatte sui cosiddetti deceduti Covid emerge che solo il 25.4% è morto di Covid, la stragrande maggioranza era solo stata trovata positiva al virus.
Si tratta di uno spaccato americano, i dati arrivano dal medico legale della contea di King, a Seattle.
La sorveglianza è stata condotta nelle case di riposo, gli autori hanno anche rilevato che i veri morti Covid avevano anche altre patologie: “Il confronto dei risultati autoptici dei deceduti per COVID-19 con quelli positivi al virus ma deceduti per altre cause ha dimostrato un aumento del rischio per i soggetti con malattie preesistenti”.
Da noi un lavoro simile non è ancora stato fatto e chissà se si farà. Ricorderete che le autopsie furono proibite e, a questo punto, a meno che le motivazioni non vengano chiarite dalla Commissione di indagine parlamentare, non sapremo nemmeno il perché.
Nella contea di King sono state fatte autopsie a 418 persone decedute positive al virus su 744. Di queste (solo) 106 erano morte per Covid come prima causa oppure come concausa. 106 su 418, ossia il 25%.
Se ne deduce che se le autopsie fossero state fatte anche da noi, invece di 180.000 morti in tre anni, oggi ne conteremmo 45.000 (!).
Il professor Stefano Petti, che ringraziamo per averci inviato l’abstract, ha indagato ancora trovando uno studio di coorte danese che permette di capire quanti siano i decessi Covid grazie a un confronto con la mortalità per tutte le cause. Ci ha spiegato Petti:
“Il sistema di sorveglianza danese, al contrario del nostro che ha iniziato a raccogliere dati dopo l’inizio della pandemia, riporta la mortalità nei residenti delle case di cura da parecchi anni, e infatti questo lavoro scientifico mostra la mortalità per tutte le cause (covid e non covid) a partire dal 2015”.
Ecco qui:
Mortalità per tutte le cause per anno (morti per 1000 residenti nelle case di riposo suddivisi per anno):
2015 35,3
2016 34,8
2017 35,7
2018 38,3
2019 37,0
2020 37,5
2021 38,5
Questo studio nazionale ha incluso i 135.501 residenti in case di cura danesi tra il 2015 e il 6 ottobre 2021.
Gli autori hanno scritto: “Il risultato principale di questo studio su scala nazionale è stato che, anche se un’alta percentuale di casi mortali di COVID-19 in Danimarca si è verificata tra i residenti delle case di cura, la mortalità annuale dei residenti delle case di cura nel periodo 2018-2021 ha avuto solo variazioni minime. Tuttavia, negli anni non pandemici dal 2015 al 2017 è stata osservata una mortalità leggermente inferiore rispetto agli anni precedenti. Per i singoli residenti delle case di cura, l’infezione da SARS-CoV-2 ha aumentato il rischio di morte sia nei residenti vaccinati che in quelli non vaccinati”.
Emerge subito che non appaiono le impennate di mortalità descritte da noi nel 2020.
“Non solo – ha aggiunto Petti – la mortalità del 2020 (37.5) è risultata assai più bassa che nel 2018 (38.3) e, sorprendentemente, nel 2021, con l’arrivo delle vaccinazioni è risultata più alta di tutti (38.5).
Se ne deduce che i morti Covid sono tutti deceduti per altre cause, altrimenti nel 2020 avremmo visto un picco di mortalità (morti per le solite cause + i morti covid) e invece il picco l’abbiamo visto nel 2021 durante la campagna vaccinale…”
Chissà chi risponderà alla più logica delle domande: come mai non si trovano gli stessi dati per l’Italia?
Siamo tutti connessi e per restare in salute dobbiamo continuare ad esserlo. Non c’entra il web nè la testa china sullo smartphone, la connessione cui si riferisce il dipartimento di Salute pubblica americano è quella fra esseri umani.
Il dipartimento ha divulgato una Surgeon General’s Advisories, ossia una dichiarazione a tutti gli Stati, per richiamare l’attenzione su un problema di salute pubblica che oltreoceano ha provocato diverse reazioni. In genere con questi ammonimenti si forniscono anche le raccomandazioni per cercare di risolvere il problema. La notizia è stata riportata anche qui.
In sintesi: la solitudine provocata dai lockdown, le barriere interpersonali, lo stare separati gli uni dagli altri, uccidono più di 6 bicchieri di alcool ingeriti o di 15 sigarette fumate in un giorno.
Non si parla solo di disturbi psichici, depressione o profonda malinconia, derivati dal vivere segregati fra quattro mura. Si valutano piuttosto le malattie del corpo, la demenza per i più anziani, gli ictus e i danni cardiovascolari per chiunque. Un insieme di condizioni che ha provocato più morti premature.
Il parere del Surgeon General che allude proprio a “un’epidemia di solitudine e di isolamento” delinea un quadro per una strategia nazionale che promuova la connessione sociale, che non è mai stata implementata prima negli Stati Uniti. Descrive in dettaglio le raccomandazioni che gli individui, i governi, i luoghi di lavoro, i sistemi sanitari e le comunità in genere possono adottare per aumentare le relazioni sociali nelle loro vite, in modo che nell’intero Paese possa migliorare la salute globale.
Si legge: “Date le significative conseguenze della solitudine e dell’isolamento sulla salute, dobbiamo dare la priorità alle relazioni sociali nello stesso modo in cui abbiamo dato la priorità ad altri fattori critici per la salute pubblica come il tabacco, l’obesità e i disturbi da uso di droghe. Insieme possiamo costruire un Paese più sano, più resiliente, meno solo e più connesso”.
In particolare: “Le conseguenze sulla salute fisica delle relazioni sociali scarse o insufficienti includono un aumento del 29% del rischio di malattie cardiache, un aumento del 32% del rischio di ictus e un aumento del 50% del rischio di sviluppare demenza per gli anziani. Inoltre, l’assenza di vita sociale aumenta il rischio di morte prematura di oltre il 60%.
La solitudine compromette anche la salute mentale. Negli adulti, il rischio di sviluppare depressione tra chi riferisce di sentirsi solo spesso è più del doppio di quello di chi si sente solo raramente o mai. La solitudine e l’isolamento sociale nell’infanzia aumentano il rischio di depressione e ansia sia nell’immediato che nel futuro. E con più di un adulto su cinque e più di un giovane adulto su tre che vive con una malattia mentale negli Stati Uniti, affrontare la solitudine e l’isolamento è fondamentale per risolvere il problema della salute mentale in America.
Infine: “Le nostre relazioni sono una fonte di guarigione e di benessere e possono aiutarci a vivere una vita più sana, più soddisfacente e più produttiva”.
Per concludere
Dopo tre anni, a pandemia finita, con mezzo pentolone scoperchiato (i vaccini che non proteggono, i contratti fantasma e capestro delle aziende produttrici, le terapie per la polmonite imboscate, gli eventi avversi degli anti Covid pervicacemente negati e tutto il resto che sapete) il dipartimento di Salute pubblica degli Usa dichiara che “è stato dannoso mantenere le distanze gli uni dagli altri”. Molto dannoso, a giudicare dall’analisi diffusa a tutti gli Stati.
Ringrazio il professor Stefano Petti per averci segnalato la notizia foriera di speranza: se in USA si comincia a ragionare sugli errori commessi sarà sempre più difficile riproporre lo stesso modello perfino qui da noi.
Ringrazio anche l’anonimo lettore che nel 2020 ci inviò l’angosciante immagine della scuola cinese che vedete allegata.
Il professor Peter Gøtzsche ci ha concesso un’intervista che tocca svariati temi, dai rapporti tra industria e medicina all’efficacia dei vaccini anti Covid, dal lockdown all’obbligo vaccinale. Lo ringraziamo pubblicamente anche perché non si è sottratto alle domande sulla sua vicenda personale, l’estromissione dalla Cochrane Collaboration, l’organizzazione scientifica indipendente che ha contribuito a fondare. Penso sia fondamentale che il grande pubblico conosca i motivi dell’allontanamento di un illustre scienziato da un’organizzazione scientifica nata per essere indipendente ma che poi si è trovata talmente vincolata da non riuscire più a pubblicare studi di rilievo. I motivi di questo “scontro” non possono restare confinati al mondo accademico perché non riguardano soltanto la libertà della ricerca ma noi tutti, l’accesso alle cure e la nostra fiducia nella medicina.
Da una parte c’è l’inchiesta della Procura di Bergamo, dall’altra le indagini sulla pandemia avviate dalla Commissione parlamentare. Nel mezzo la trasmissione Fuoridal Coro di Mario Giordano che sta divulgando le mail riservate fra i dirigenti di Aifa e il suo presidente Nicola Magrini. L’ultimo scambio di corrispondenza mostrerebbe la volontà di Aifa di insabbiare gli eventi avversi post vaccinazione perché altrimenti, come appare scritto dal presidente Nicola Magrini, “si uccide il vaccino”.
Un comportamento inaudito. A che pro? Aifa è l’agenzia regolatoria che vigila sulla salute dei cittadini, che lavora con denaro pubblico, che per decreto ha il compito di realizzare report di farmacovigilanza e di renderne conto. E che dunque dovrebbe scattare sull’attenti, mettendo in guardia la popolazione, al primo sospetto di tossicità. Aifa non ė una Big Pharma e non produce nè farmaci nè vaccini. Non ha (non dovrebbe avere) interesse a mistificare la realtà per non rovinare la reputazione di un farmaco-vaccino.
Da tempo cullavo l’idea di intervistare Fabio Franchi sulla pandemia. O meglio, sulla “Catastrofe provocata dal virus che non c’è” parafrasando il titolo del suo ultimo libro (Ed. Youcanprint, 20 euro, pdf gratuito).
Ora, che si discute molto dell’indagine della Procura di Bergamo e che in qualche modo si cerca di riflettere su quanto accaduto negli ultimi tre anni, è arrivato il momento.
Chi è Franchi. È stato per decenni dirigente medico agli Ospedali Riuniti di Trieste. È specializzato in Igiene, Medicina Preventiva e Malattie infettive. Poco prima di concludere il percorso di studi, alla Specialità di Infettivologia, ha rischiato di essere estromesso per le sue posizioni (che però mantenne anche in seguito). Nel 1996 pubblicò, assieme al prof Luigi De Marchi, il libro “AIDS, la grande truffa”, oltre a numerosi articoli critici verso la versione mainstream e contro l’utilizzo dell’AZT per curare l’AIDS.
La Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Covid dovrebbe partire a marzo. Secondo quanto riferito da esponenti di governo, l’obiettivo di fare chiarezza non resterà circoscritto al piano pandemico mai applicato ma riguarderà a “tutto tondo” la gestione Covid dal 2020 a 2022. Qui e qui.
Intanto ci si chiede quanto siano costati alla Sanità i vaccini anti Covid
Si sa che la famosa coperta è sempre troppo corta e che, dopo la pandemia, si è ristretta ulteriormente. Se negli ospedali mancano i letti, se i pazienti restano giorni in attesa nei pronti soccorso prima di essere ricoverati, (come ha documentato la trasmissione Fuori dal Coro), se non ci sono abbastanza medici, è perché manca il denaro, nonostante le tasse non siano diminuite, anzi: per un curioso fenomeno (che speriamo venga indagato) le imposte crescono in misura proporzionale a quanto si impoverisce il Sistema Sanitario.
Altro che “non irragionevole né sproporzionato” (cit. Corte Costituzionale), la Corte suprema di New York ha dichiarato “arbitrario, illegittimo e nullo” l’obbligo vaccinale contro il Covid-19 per i sanitari “perché i farmaci mRNA non prevengono la trasmissione del virus”.
Qui trovate la decisione, depositata il 13 gennaio 2023, firmata dal giudice Gerard Neri che ha stabilito che l’obbligo vaccinale Covid-19 per gli operatori sanitari è da ritenersi “nullo e senza effetto“. Respinta la richiesta di archiviazione inoltrata dal Dipartimento di Salute.
Nell’augurarvi buon anno, cedo a una previsione. Presto si parlerà in televisione di quanto i vaccinati siano protetti. Intendo dire che ai telegiornali e alle trasmissioni dedicate alla pandemia verrà dato spazio ai dati ISS che monitorano l’infezione e la protezione individuale ogni sette giorni.
Se state pensando che queste notizie abbiano già fin troppo spazio, vi invito a proseguire.
Guardando ai dati ISS del 24-12-22 emerge che, in percentuale, si infettano di più i vaccinati rispetto ai non vaccinati, dai 5 ai 79 anni.
In dettaglio: rispetto ai coetanei che non hanno mai fatto un vaccino anti Covid, i bambini di 5-11 anni si infettano il 39% in più; i giovani adulti 12-39 anni con booster il 36% in più e gli adulti 40-59 anni il 64% più.
Solo fra 80enni e over 80 i dati ISS mostrano nei vaccinati con un booster meno infezioni dei non vaccinati.
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