Cronaca sanitaria

UN FOCOLAIO DIVENUTO UN INCENDIO

Bergamo e la Valseriana, una strage annunciata. I perchè nell'incompetenza delle istituzioni

Bergamo e la Valseriana, una strage annunciata. I perchè nell'incompetenza delle istituzioni
  • UN FOCOLAIO DIVENUTO UN INCENDIO
7 - 14 minuti di lettura

In tanti si chiedono perché in Lombardia, ma soprattutto a Bergamo e provincia, il covid-19 abbia fatto tante, troppe vittime (in Lombardia il 53,8% dei decessi italiani). Tante più che in tutta Italia. Anzi, tante più che in qualsiasi altro luogo (perché sì, Bergamo è ufficialmente la città in cui sono avvenuti più decessi da coronavirus in proporzione agli abitanti in tutto il mondo).

6.000 morti in più della media del medesimo periodo (fine febbraio/aprile) degli anni precedenti in tutta la provincia. In città e nei paesi aumenti dei decessi di almeno il 400%,  in media del 700/800%, con picchi di 1.200% nei paesi più colpiti della media Valle Seriana. Il rapporto Istat/Iss appena pubblicato dichiara per il mese di Marzo un aumento della mortalità nella provincia di Bergamo del 568% (49,4% in Italia). Una strage. [1] [2]

A Bergamo sanno il perché, lo sanno tutti, lo sanno da sempre, da quando tutto è iniziato.

Lo sanno gli abitanti di questa valle soprattutto, e non hanno dubbi su cosa è andato storto, molto storto, in questi tre mesi.

Proviamo a raccontarlo e a capirlo insieme.

Ci aiutano nella ricostruzione il minuzioso e coraggioso lavoro di inchiesta fatto dalla giornalista Francesca Nava in questi due mesi e pubblicato in più riprese sulla testata TPI.it, il giornale online Valseriana news che segue da vicino  la vicenda fin dall'inizio e l’inchiesta di LA7 Speciale Bersaglio Mobile: Il massacro nascosto, trasmessa il 02/05 in prima serata.

E’ gennaio, i medici di famiglia e gli ospedali iniziano a riscontrare un numero anomalo di malati e ricoveri con polmoniti definite “strane”, un numero che continua a crescere a febbraio.

Il 31/01 viene dichiarato dal Governo Italiano lo stato di emergenza e da lì in poi vengono adottate misure speciali come la nomina di un Commissario straordinario e l’istituzione di un Comitato tecnico-scientifico per fronteggiare l’emergenza.
Ma questo evidentemente non basta alle autorità sanitarie locali e regionali per alzare il livello di guardia, approvvigionarsi di opportuni DPI da distribuire sul territorio a medici e strutture, attivare una sorveglianza sanitaria più stringente su queste segnalazioni di anomalie nelle affezioni polmonari, redigere un piano regionale e protocolli di azione in caso di pandemia.
Il coronavirus sembra lontano, tutti ci rassicurano e ci dicono che in Italia siamo al sicuro e non c’è alcun rischio di contagio.

Il 18/02 invece il rischio si materializza in tutta la sua drammatica realtà.
A Codogno il primo sospetto di Covid-19 su un paziente italiano, confermato il 20/02; è giovane, sano, sportivo, la paura comincia a fare capolino.
Si inizia con la tracciatura dei contatti, si fanno tamponi a tappeto, il numero di casi in quella zona aumenta vertiginosamente.

Il 21/02 la prima vittima accertata, un anziano in Veneto.

Il 23/02 vengono istituite le prime cosiddette "Zone Rosse", a Codogno e in altri 9 paesi del basso lodigiano e a Vo' Euganeo.
Ma ancora il pericolo non sembra così incombente, ci si scherza anche un po’ su Codogno che sembra diventato l’ombelico del mondo.

Intanto a Bergamo…

Il 22/02 il direttore dell’Agenzia Regionale eEmergenza Urgenza (AREU) di Bergamo Angelo Giupponi invia un’email all’assessorato al Welfare della Regione Lombardia, diretto da Giulio Gallera, in cui sottolinea ”l’urgente necessità  di allestire degli ospedali esclusivamente riservati ai ricoverati per Covid-19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedaliere”.
La risposta dei dirigenti regionali (come raccontato da lui stesso al Wall Street Journal in un articolo del 17 marzo) è stata: “Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate”.  [3] [4]

Il 23/02 con un’ordinanza del Ministero della Salute e della Regione Lombardia viene disposta la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado in Lombardia.

Molti enti gestori di servizi socio-sanitari semiresidenziali di vario tipo (i centri diurni per intenderci, molti dei quali si trovano presso le RSA, che sappiamo saranno protagoniste di una vera carneficina) valutano se chiudere i servizi, qualcuno effettivamente chiude.
Ma l’ATS, su indicazione della Regione, con una comunicazione INTIMA a tutti gli enti gestori di non chiudere questi servizi, pena la revoca degli accreditamenti.
E nei giorni successivi invia addirittura degli ispettori dell’ufficio vigilanza per verificare che siano aperti. [5]

Il 23/02, nel pomeriggio, su Facebook comincia a girare vorticosamente un comunicato dell’Ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo in media Valle Seriana, che dice che il Pronto Soccorso è chiuso per emergenza.
Quale sia l’emergenza è subito chiaro a tutti. In ospedale sono stati individuati due casi di Covid-19, di cui uno sicuramente era transitato per il pronto soccorso.

Poche ore dopo il comunicato scompare e il pronto soccorso riapre.
Senza una sanificazione approfondita (verrà fatta quattro giorni dopo), senza la creazione di un percorso alternativo covid-risk, senza un triage differenziato, senza alcun tracciamento dei pazienti e del personale transitato, senza nessuna disposizione particolare per il personale, come denunciato da alcuni operatori sanitari (presenti quel giorno e che in quelle ore avevano iniziato a fare tutto questo) durante le inchieste sopra citate.
Tutti a casa come se nulla fosse accaduto. [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9]

Alcuni dipendenti coraggiosi, nonostante l’ordine di non dire nulla, raccontano. Raccontano anche che l’ordine “è arrivato dall’alto”, che hanno sentito il direttore sanitario dell’ospedale Giuseppe Marzulli, contrario alla riapertura, discutere animatamente al telefono con la direzione generale, la direzione strategica dell’ASST Bergamo Est da cui dipende il presidio, anche nei giorni successivi. [6]

Il 25/02 sempre il direttore Marzulli scrive una lettera alla direzione generale della ASST in cui segnala l’impossibilità del Pronto Soccorso di Alzano di restare aperto perché non sono più disponibili posti letto.
Richiama la direttiva dell’ASST stessa che dava indicazioni di trattenere i pazienti con sospetto Covid-19 in pronto soccorso fino all’esito del tampone, indicazione definita “assurda” e “contraria a qualunque protocollo ed anche al buon senso”, in quanto significa far stazionare tali pazienti anche 48 ore in pronto soccorso (ricordiamo, senza che nessun particolare accorgimento di separazione e tracciamento sia stato previsto).
Il direttore chiede un intervento urgente indispensabile, intervento che non arriverà. [6]

E intanto l’ospedale e il pronto soccorso per i giorni (e le settimane…) successivi proseguono le attività come sempre, senza alcun tipo di accorgimento particolare.

Nei giorni seguenti iniziano ad esserci molti malati anche tra il personale, c’è chi continua a lavorare anche con sintomi simil-influenzali per ordini dei superiori. [10]

Ad aggravare il quadro già disastroso, più di un parente di pazienti ricoverati nei vari reparti in quei giorni ha raccontato che il proprio congiunto poco dopo è risultato positivo al covid-19, alcuni sono morti, ma nessuna cautela è stata adottata nei confronti dei visitatori, del personale non sanitario, che nessun tracciamento dei contatti è stato fatto. Hanno continuato la loro vita di sempre, hanno lavorato, hanno celebrato le esequie, incontrando decine di persone, rendendosi probabilmente diffusori inconsapevoli del virus, che ha avuto così tutto il tempo di circolare indisturbato.

A fine febbraio i casi di positività iniziano a crescere in misura esponenziale ad Alzano e ancora di più nel paese limitrofo, Nembro.
La paura nella popolazione cresce, è un susseguirsi di sirene di ambulanze giorno e notte, il clima inizia a diventare surreale. Ci si chiede perché non venga istituita la "Zona Rossa" come era stato fatto per i primi due focolai.

La paura serpeggia sempre più insistente, ma i messaggi alla popolazione sono ancora contraddittori. Molti virologi e medici in tv ripetono che non bisogna allarmarsi, che è una normale influenza, che rischiano solo gli anziani o chi ha patologie pregresse.

Il lavoro continua, si adottano restrizioni solo parziali particolarmente per gli esercizi commerciali, i mercati comunali si svolgono.
Qualcuno continua a frequentare i centri commerciali, va a sciare.
Si moltiplicano gli inviti di politici e personaggi noti a uscire e a non fermarsi, a frequentare negozi, bar e ristoranti, gli imprenditori locali manifestano con forza la preoccupazione per una possibile chiusura e il fermo delle attività.

Il 27/02 imprese e sindacati redigono un documento congiunto per dire che “dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate” “evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro made in Italy e il turismo”, così scrivono Abi, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Alleanza delle cooprative, Rete Imprese Italia, Cgil, Cisl, Uil. [11]

Il 28/02 Confindustria Bergamo lancia uno spot con l’hashtag #Bergamoisrunning, un video in inglese che ha l’obiettivo di tranquillizzare i partner stranieri in cui si dice che il rischio nella zona è basso, che l’Italia ha preso ampie misure di protezione e che le operazioni delle aziende bergamasche non sono contagiose. [12] [13]

Lo stesso giorno anche l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera esclude l’istituzione di una zona rossa nel bergamasco.

Il 02/03 l’ISS scrive una nota tecnica che evidenzia l’elevata incidenza di contagi da Covid-19 nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro e in quello bresciano di Orzinuovi, raccomandandone l’isolamento immediato e la chiusura, con la creazione di una "Zona Rossa", come quella di Codogno.
Per quanto riguarda i due comuni bergamaschi viene sottolineato un ulteriore fattore di rischio, ovvero la pericolosa vicinanza ad un grosso centro urbano (Bergamo). Questa nota tecnica viene successivamente dettagliata e arricchita di nuove informazioni in data 05/03.

Non ci è dato sapere se sia mai stata messa a verbale e quindi firmata da tutti i membri del Comitato tecnico scientifico e sia mai arrivata sul tavolo del Governo, sappiamo però che la Regione Lombardia ne è al corrente e l’assessore Gallera ne dà conferma il 06/03.

(Tutto questo è stato reso noto a fine marzo grazie al lavoro della giornalista Francesca Nava che ha anche più volte e con insistenza chiesto spiegazioni in merito al Commissario straordinario Borrelli durante le conferenze stampa quotidiane, senza mai avere risposte chiare e precise). [14]

Nei giorni tra il 3 e il 7 marzo la Valle Seriana si aspetta che venga creata la "Zona Rossa" nei comuni focolaio, ogni giorno, ogni sera sembra quella “buona”, ci sono già i militari pronti al limitare della provincia, i Carabinieri hanno già predisposto come organizzare le attività di presidio dei varchi.

Ma quella zona rossa non arriverà MAI.

L’ 08/03 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene istituita un’unica grande zona arancione in Lombardia.

Il 10/03 il lockdown è esteso all’intera nazione.

Il resto è storia nota.

15 giorni.
15 giorni di assoluta inerzia.
15 giorni che hanno permesso al focolaio della media Valle Seriana di espandersi liberamente e in modo incontrollato, diventando un incendio di proporzioni devastanti.

Un incendio che ha coinvolto tutta la valle, la città, l’intera provincia, travolgendo anche la vicina provincia di Brescia.

A Bergamo, e particolarmente in Valle Seriana, ogni famiglia piange almeno un morto. Ogni persona piange decine di amici e conoscenti morti. E non erano solo anziani, non erano solo persone con altre patologie.

A Bergamo le imprese di pompe funebri hanno lavorato notte e giorno per settimane. Le camere mortuarie degli ospedali e dei cimiteri traboccavano. Sono state aperte le chiese per ospitare le decine di bare in attesa di poter essere tumulate o cremate. I carri militari hanno trasportato centinaia di salme verso altre regioni per poter essere cremate perché il forno crematorio di Bergamo non reggeva il ritmo.

Nelle RSA sono morti il 32,6% degli anziani ospiti, circa 2.000 persone.

A Bergamo gli ospedali sono stati per settimane al collasso, sono stati creati dal nulla reparti di terapia intensiva che si riempivano in un batter di ciglia.
I medici e tutto il personale hanno fatto turni massacranti, hanno lavorato in condizioni disperate, hanno combattuto un nemico che per settimane è stato quasi sconosciuto.
Molti si sono ammalati, molti sono morti. Sono arrivati medici e infermieri da tutta Italia e da tutto il mondo per aiutare. Le ambulanze e gli equipaggi arrivavano da tutta la Lombardia a da altre regioni per cercare di rispondere alle migliaia di chiamate quotidiane.

Ma non è bastato. Moltissime persone hanno atteso anche per giorni l’arrivo dei soccorsi, qualcuno è morto a casa, molte sono arrivate in ospedale tardi, con un quadro clinico già troppo compromesso.

A Bergamo decine di migliaia di persone si sono ammalate, moltissime hanno avuto la polmonite interstiziale bilaterale tipica del covid-19, anche giovani.
Molti sono stati lasciati soli, perché l’ ATS (sempre lei…) aveva ordinato ai medici di famiglia di non visitare i pazienti con sintomi da covid-19, ma di assisterli solo telefonicamente (perché non era in grado di fornire loro i DPI -dispositivi di protezione individuale- …) e questo ha ulteriormente aggravato una situazione già disperata, ritardando diagnosi e assistenza, che se tempestiva avrebbe sicuramente limitato gli accessi in ospedale.
Fortunatamente tanti medici hanno ignorato l’ordine e in coscienza hanno scelto di rischiare la propria salute e la propria vita per garantire assistenza ai propri pazienti, combattendo un nemico subdolo che presentava ogni giorno una faccia nuova.

Tanti errori sono stati fatti. Troppi. A tutti i livelli.

La criminale superficialità nella gestione del focolaio iniziale preso l’ospedale di Alzano Lombardo.

Una -NON- decisione, quella di fare una zona rossa che andava assolutamente fatta, rimpallata fra Governo e Regione.
Perché fermare una delle zone più produttive d’Italia, con la pressione addosso delle associazioni di categoria, era una decisione pesante e scomoda e nessuno voleva assumersi l’onere di dare l’ordine.
Chi doveva farlo? Per giorni abbiamo assistito al triste teatrino dello scaricabarile e di chi fosse la competenza, ma la verità è una sola: potevano farlo entrambi, Governo e Regione. E nessuno ha voluto farlo.

L’inadeguatezza dimostrata palesemente della medicina di territorio, a causa delle decisioni scriteriate e vergognose durante l’emergenza, ma soprattutto per il depauperamento costante di cui è stata vittima negli ultimi 20 anni.

A Bergamo adesso 6.000 morti chiedono verità e giustizia. Morti che si potevano evitare in gran parte.

A Bergamo sanno il perché, lo sanno tutti, lo sanno da sempre, da quando tutto è iniziato.

A Bergamo lo sanno, lo sappiamo, cosa è andato storto.

 

Fonti:

  1. L'ECO DI BERGAMO - 4 maggio 2020 - Istat, a marzo morti in aumento del 49.4% Bergamo, incremento record: +568%
  2. ISTAT - 4 maggio 2020 - Rapporto sulla mortalità della popolazione residente a cura di Iss e Istat
  3. TPI.IT - 25 marzo 2020 - “Non vogliamo leggere le tue cazzate”: così rispose Regione Lombardia il 22 febbraio alla segnalazione di creare ospedali da Covid-19 per fermare il contagio
  4. MSN NEWS - 18 marzo 2020 - 'Every Day You Lose, the Contagion Gets Worse.' Lessons from Italy's Hospital Meltdown.
  5. LA7 - 2 maggio 2020 - Speciale Bersaglio Mobile: Il massacro nascosto - Puntata del 02/05/2020
  6. TPI.IT - 9 aprile 2020 - ESCLUSIVO TPI – Parla un dipendente dell’ospedale di Alzano: “Ordini dall’alto per rimanere aperti coi pazienti Covid stipati nei corridoi”
  7. TPI.IT - 17 marzo 2020 - Coronavirus Anno Zero, quel 23 febbraio all’ospedale di Alzano Lombardo: così Bergamo è diventata il lazzaretto d’Italia
  8. VALSERIANA NEWS - 23 aprile 2020 - Quella domenica di febbraio, i 4 casi di Coronavirus all’ospedale di Alzano Lombardo
  9. VALSERIANA NEWS - 6 aprile 2020 - L’assessore Gallera sull’ospedale di Alzano: “Abbiamo fatto tutto come andava fatto”
  10. VALSERIANA NEWS - 28 marzo 2020 - La lettera denuncia sul caso ospedale di Alzano: “Chi poteva doveva decidere”
  11. CONFINDUSTRIA - 27 febbraio 2020 - COMUNICATO CONGIUNTO DI IMPRESE E SINDACATI SUL CORONAVIRUS
  12. CONFINDUSTRIA BERGAMO - 28 febbraio 2020 - CORONAVIRUS: MESSAGGIO PER I NOSTRI PARTNER INTERNAZIONALI
  13. CONFINDUSTRIA BERGAMO - 28 febbraio 2020 - Youtube - A message to our partners: business in Bergamo is running
  14. TPI.IT - 26 marzo 2020 - ESCLUSIVO TPI: Una nota riservata dell’Iss rivela che il 2 marzo era stata chiesta la chiusura di Alzano Lombardo e Nembro. Cronaca di un’epidemia annunciata

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