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Influenza e vaccino antinfluenzale: la situazione è articolata

Influenza e vaccino antinfluenzale: la situazione è articolata
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3 - 6 minuti di lettura

Si avvicina il famoso “picco influenzale”, previsto, come tutti gli anni, con l’arrivo del freddo e a partire, approssimativamente, dalle festività natalizie.
Secondo il comunicato diffuso da Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica) alla fine di settembre, usando le parole del Prof. Fabrizio Pregliasco: «La prossima stagione influenzale dovrebbe essere di intensità media».

Tenendo tuttavia comunque alta l’attenzione «perché con l’influenza non bisogna mai abbassare la guardia. Quanto è successo l’anno scorso ce l’ha ricordato chiaramente. Ci aspettavamo una stagione influenzale di media intensità e invece è stata una delle più pesanti degli ultimi anni. Una lezione che non dobbiamo dimenticare. Molto dipenderà anche dal meteo: se questo inverno dovesse essere più lungo e freddo sicuramente si avranno molti più malati».

Quindi, sulla carta, situazione non preoccupante, anche se bisogna stare all’erta.
E infatti i media nazionali, quasi quotidianamente, ci ricordano i rischi dell’influenza, la sua diffusione, e l’importanza imprescindibile di fare il vaccino, come “unica forma di prevenzione”.

La campagna per incoraggiare le persone a vaccinarsi sembra aver avuto i suoi effetti, visto che tra fine novembre e inizio dicembre da molte Asl e farmacie di tutta Italia è stata denunciata la carenza di anti-influenzale.

I dati sul vaccino antinfluenzale

La possibilità di ricorrere a un vaccino per poter prevenire questa patologia, fondamentalmente benigna ma che comunque può essere potenzialmente grave o addirittura fatale in alcuni casi, è comprensibilmente allettante.
L’efficacia e la sicurezza del vaccino non si discutono e il messaggio è che chi fa il vaccino ha molta meno probabilità di ammalarsi o almeno di ammalarsi gravemente rispetto a chi non lo fa.

I risultati di molti studi mostrano che il vaccino antinfluenzale offre una moderata protezione contro la malattia (per citare i più recenti: Thompson et al, 2018; Shang et al, 2018; Pebody et al, 2018).
Tuttavia, gli studi che considerano anche altri elementi, oltre il rischio di ammalarsi di influenza, forniscono un quadro più articolato.

Una rassegna Cochrane (la Cochrane Collaboration è nota per realizzare rassegne di studi di alta qualità) che ha preso in considerazione studi europei e statunitensi pubblicati tra il 1965 e il 2000 su persone anziane (con almeno 65 anni di età) ha mostrato una riduzione dei casi di influenza tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati (2.4% vs 6%; riduzione del rischio relativo del 58%): secondo questi dati dovrebbero essere vaccinate 30 persone per prevenire un caso di influenza.
Gli effetti sulla mortalità sono stati definiti molto incerti e la conclusione è stata che l’impatto dei vaccini antinfluenzali negli anziani è modesto, indipendentemente dagli esiti presi in considerazione (per esempio mortalità, polmoniti, ricoveri, ecc), dalla popolazione considerata e dal disegno degli studi.

Analoga indagine, sempre della stessa istituzione, è stata effettuata su adulti sani, considerando studi pubblicati fra il 1969 e il 2009.
Il vaccino avrebbe ridotto il rischio di ammalarsi di influenza:

  • 2.3% di ammalati tra i non vaccinati
  • 0.9% tra i vaccinati (riduzione del rischio relativo 59%):

Occorre vaccinare 71 adulti per prevenire un caso di influenza.
Non è chiaro se il vaccino riduca anche il rischio di ricoveri: sembra possa esserci una piccola riduzione, ma il dato è incerto, e non sembra influire sulle assenze dal lavoro (-0.04 la differenza di giorni di lavoro persi).
I vaccini inattivati causano, sempre secondo la ricerca, un aumento dei casi di febbre da 1.5% a 2.3%.

Per quanto riguarda la realtà italiana, un lavoro pubblicato nel marzo 2018 sulla rivista “Annali dell’Istituto Superiore di Sanità”, è ancora meno confortante (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29616677).

La ricerca riguarda il vaccino antinfluenzale 2016-17, somministrato alla popolazione anziana in un’area del nord est Italia.
I dati su 64.854 soggetti di almeno 65 anni di età sono stati analizzati fino al 30 aprile 2017.
Il vaccino antinfluenzale è stato somministrato al 53% della popolazione anziana. Confrontando i vaccinati e i non vaccinati, non sono state osservate differenze significative nella probabilità di visite del reparto di emergenza, di ricoveri ospedalieri o di decessi dovuti a polmonite e influenza. Secondo gli Autori la mutazione del virus circolante durante la stagione avrebbe ridotto l’efficacia del vaccino.

Tra le persone vaccinate si è però avuto un aumento del 13% delle visite al Pronto Soccorso, del 10% dei ricoveri e del 5% della mortalità rispetto ai non vaccinati. In particolare il vaccino antinfluenzale tetravalente è risultato associato, rispetto ai non vaccinati, a -19% di visite al Pronto Soccorso, ma a un aumento del 47% del rischio di ricoveri e del 12% dei decessi per influenza e polmonite.

Vaccino antinfluenzale e gravidanza

Negli ultimi anni è stato sempre più sdoganato il vaccino anche nel corso della gravidanza.
Anche in questo caso alcuni articoli sollevano dubbi sull’opportunità di una vaccinazione “a tappeto”.

Un recentissimo lavoro di Donzelli (International Journal of Environmental Research and Public Health, 2018) suggerisce l’opportunità di realizzare dei trial clinici (cioè studi in cui viene fatta una suddivisione casuale fra persone trattate e non trattate, spesso senza che chi somministra e chi riceve il trattamento sappiano se stanno usando un agente attivo o un placebo) per avere dati più solidi in termini di efficacia e sicurezza.
Cita inoltre il fatto che le rassegne della Cochrane hanno identificato solo uno studio di questo tipo, che i risultati di questo non sono chiari in termini di mortalità e ospedalizzazioni materne, perinatali e infantili.
Una rassegna Cochrane concludeva in particolare che il vaccino antinfluenzale inattivato offre alle donne gravide una protezione incerta o molto limitata, suggerendo la necessità di ulteriori studi.

La vaccinazione nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, secondo Donzelli, dovrebbe comunque essere offerta alle donne, comunicando però le incertezze che tuttora esistono e promuovendo il consenso informato.

Questo non vuole dire che le donne gravide, come anche tutti coloro che non vengono vaccinati, debbano restare completamente esposti al rischio di influenza.
La letteratura propone infatti anche altre raccomandazioni che possono essere adottate per ridurre le infezioni respiratorie.

Il CDC (Center for Disease Control) statunitense raccomanda infatti di:

  • lavarsi le mani frequentemente usando acqua a sapone,
  • evitare di toccarsi gli occhi, il naso e la bocca;
  • stare lontani dalle persone malate.

    E anche:

  • evitare il fumo di sigaretta,
  • evitare di ricorrere agli antipiretici il più possibile (possono aumentare e estendere la trasmissione delle infezioni associate, anche perché magari, con la febbre ma sotto antipiretici, si va a lavorare o a scuola lo stesso, rischiando di infettare gli altri);
  • mantenere abitudini sane, evitando il superlavoro, mangiando cibi sani e fare attività fisica
  • evitare i luoghi affollati durante l’epidemia influenzale

    (Donzelli A. 2018; Jefferson T. BMJ 2009).

In una situazione così complessa è importante che chi desidera vaccinarsi possa farlo, adeguatamente informato dei possibili benefici e degli attuali limiti, come è anche prezioso evidenziare la presenza di eventuali criticità o di risultati inferiori alle aspettative nella pratica vaccinale antinfluenzale, per spingere a migliorare le strategie di prevenzione, elaborando vaccini più efficaci e sicuri per i prossimi anni e la messa in pratica quotidiana di accorgimenti efficaci a ridurre il rischio di contagio.

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