Professioni e Sanità

SE ATENE PIANGE, SPARTA NON RIDE!

#DECRETO #SCUOLA: al via la discussione. Riaprite quelle porte!

#DECRETO #SCUOLA: al via la discussione. Riaprite quelle porte!
  • SE ATENE PIANGE, SPARTA NON RIDE!
6 - 11 minuti di lettura

Con la temporanea sospensione dei campionati di calcio causa Coronavirus, l’Italia si è rapidamente trasformata da una nazione di commissari tecnici in una nazione di medici, virologi, esperti tecnico-scientifici, costituzionalisti.

Nell’ultimo periodo in tanti hanno disquisito sulla costituzionalità o meno dei DPCM che si sono susseguiti.

In pochi, forse pochissimi, si sono però ricordati l’Art. 33 e l’Art. 34 della Costituzione italiana che di fatto sanciscono l’essenzialità del diritto all’istruzione, che da tutti deve essere fruibile e che le istituzioni hanno il dovere di garantire.

Uscendo dai confini nazionali, nell’Unione Europea il diritto all’istruzione è sancito dalla “Carta dei diritti fondamentale”, dove l’Art. 14 recita: “Ogni persona ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua”.

Per garantire questo diritto all’istruzione, successivamente all’iniziale chiusura dovuta al diffondersi del COVID-19, tante nazioni europee hanno già riaperto le scuole: Danimarca e Germania ne sono un esempio, mentre in Inghilterra e Svizzera le scuole sono sempre rimaste aperte ed accessibili ai figli delle persone impiegate nella Sanità.

Francia, Olanda sono prossimi alla riapertura, paesi in cui è già stato da tempo deciso di non far riprendere i campionati di calcio.
In Italia, dopo una breve distrazione, il DNA da commissari tecnici è tornato a prevalere e si è deciso di impiegare importanti risorse, sanitarie, economiche ed intellettive, a cercare di far ripartire il campionato di calcio rimandando le riaperture delle scuole a settembre, tra ben quattro mesi.

Priorità di fornitura di dispositivi di protezione individuale, tamponi, esami immunologici, risorse economiche al mondo del calcio.
Gli studenti possono aspettare, le porte delle scuole possono restare chiuse tanto ormai vetuste (spesso anche realmente!) e soppiantate da un giorno con l’altro dalla nuovissima didattica a distanza (DAD).

Il Ministro Azzolina, firmando il decreto con cui conferisce l’incarico di consulenza ad esperti di innovazione didattica e formazione, ha sacrificato la scuola e la formazione diretta degli studenti alla DAD, una metodologia sulla carta allettante ed avveniristica ma di fatto priva di fattibilità ed efficacia nell’immediato, riuscendo nella formidabile impresa di ottenere l’unità nazionale della scontentezza.

Docenti, dirigenti scolastici, sindacati, associazioni di categoria, opposizione e parte della maggioranza di governo sono perplessi.
Bambini, adolescenti, ragazzi, genitori sono ugualmente perplessi e messi alla prova.
Tutti si interrogano sull’efficacia delle misure introdotte ed in particolare sulla reale capacità della DAD di supportare la formazione scolastica, lo sviluppo cognitivo e, cosa non secondaria, il mantenimento delle relazioni sociali.

Alcuni studi hanno evidenziato una diversa reazione ed un diverso adattamento di bambini, adolescenti, ragazzi e genitori all’emergenza sanitaria e a tutto ciò che ne è conseguito, compresa la chiusura delle scuole.
Attitudini, comportamenti ed effetti che, è doveroso pensare, siano già noti al Ministro ed ai consulenti ed esperti di cui si è avvalsa.

Per i più piccoli, la chiusura di asili nido e scuole materne, con l’isolamento sociale che ne è conseguito, può essere vissuto come una riconquista dell’ambiente familiare in una modalità del tutto nuova.
La loro malleabilità ai cambiamenti può essere ricondotta alla percezione che hanno della dimensione temporale, vivendo nel “qui ed ora”.
La routine dell’asilo nido o della scuola materna può essere delicatamente trasformata in una riappropriazione del proprio spazio domestico, con la complicità e la presenza costante, in alcuni casi del tutto inedita e quasi eccezionale, di mamma e papà.
Il distacco dai compagni e dalle maestre può essere colmato dalla presenza dei genitori e dalle interessanti e curiose attività domestiche che mamma e papà, rievocando la magia da loro stessi vissuta da piccoli, sanno proporre ed inventare.
Ma i bambini percepiscono, sentono e credono ed il loro sviluppo cognitivo passa dall’esperienza materiale e diretta e dall’apprendere attraverso i sensi.
Sono esseri in grado di vedere in maniera spontanea in una cosa, oltre al primo significato, il suo complemento, un aspetto o una sfumatura che per gli adulti è inconcepibile anche nella sua immediatezza e facilità.
Se non sono educati alla paura non la riproducono e non la evocano.

Con i più piccoli si è quindi reso necessario un ritorno alla semplicità, alla vera essenza delle cose, che in tempo di COVID-19 sembra più facile a dirsi che a farsi.
E chi ha avuto in carico questo delicato compito sono solo ed esclusivamente i genitori che, soprattutto per chi vive in spazi non ampi, hanno dovuto fare i conti con il divieto di uscire, di muoversi anche solo per fare una passeggiata o prendere una boccata d’aria a pochi metri da casa.

In questa fascia d’età la DAD non solo non ha funzionato, ma sarebbe addirittura da evitare dato che è caldamente sconsigliato l’approccio a dispositivi elettronici, indispensabili per la DAD, al fine di evitare che il bambino sostituisca ad attività manuali e sensoriali un mondo virtuale e sterile.

Nonostante gli sforzi fatti da educatori/educatrici e maestri/maestre di coinvolgere “da remoto” i più piccoli, tramite apposite applicazioni e programmi con canti, giochi e attività manuali veicolati da mamma e papà, la mancanza del contatto diretto e dell’ambiente relazionale del gruppo ha di fatto sancito l’insuccesso di questo nuovo metodo cui sono stati costretti.
I bambini si stancano in fretta, spesso non riescono a entrare nella dinamica del gioco virtuale e non sono coinvolti nella magia del contesto che la presenza dell’insegnate rappresenta. Spariscono inevitabilmente il coinvolgimento, lo stupore, la scoperta.

Passando poi alle scuole di ordine superiore, molti genitori raccontano di bambini sofferenti, agitati ed insonni, in difficoltà a spiegare il loro disagio derivante dalla nostalgia degli amici, dei compagni e dei nonni e bisognosi di riacquistare il loro spazio e la socialità.
Ed oltre al naturale ruolo pedagogico, la DAD ha fatto dono ai genitori del ruolo di formatori didattici.
Ruolo di cui però forse qualcuno avrebbe fatto volentieri a meno, dato che non tutti i genitori hanno le competenze, la preparazione, i mezzi, la naturale propensione e il tempo materiale per gestire la formazione scolastica dei figli come è stato richiesto loro in questo momento.

Un genitore può dedicarsi al figlio con amore, sostenendolo e rassicurandolo, ma non è scontato che abbia le capacità necessarie a sanare le lacune formative che il bambino potrebbe avere e che porterà con sé nonostante il profondo impegno di entrambi.

La disponibilità di tempo non è poi scontata: sempre più è chiesto ai genitori di tornare al lavoro (per chi ancora ce l’ha!) generando inevitabili problematiche nella gestione dei figli a casa dato che, effetto collaterale ma non secondario delle restrizioni imposte, è l’impossibilità di avvalersi del prezioso aiuto dei nonni.
Rimane comunque nel cuore la speranza che a guadagnarne da questa situazione sarà la relazione genitore-figlio.
Ed è anche utopia pensare che tutte le famiglie d’Italia, che sempre più in numero si avvicinano alla soglia della povertà, abbiano i mezzi per l’acquisto di uno o più PC o di un abbonamento internet con cui accedere alla DAD.
Famiglie con più figli in età diverse si trovano a gestire lezioni, spesso in contemporanea, con un unico PC che magari accede alla rete Internet attraverso l’ausilio dei telefoni cellulari.

Ma se Atene piange, Sparta non ride!

Gli insegnanti, per meglio riuscire a gestire il programma didattico a distanza, spesso semplificano le lezioni riducendo le nozioni fondamentali trasferite agli studenti, con un evitabile impoverimento culturale.

Se la scuola è una terapia essenziale, l’insegnante è un terapista, ed ancor più lo è l’insegnate di sostegno.
E gli insegnati/terapisti, come i medici eroi venuti alla ribalta in periodo di Coronavirus, hanno nel cuore la salute dei loro studenti/pazienti.
Gli insegnanti sono un bene prezioso ed insostituibile, la cui attività non può manifestarsi in maniera efficace senza la presenza e la vicinanza.

Uno schermo non può far percepire in maniera tangibile la presenza dell’insegnante, di un suo richiamo dal vivo, di un contatto visivo, di uno sfogo o di un’attività pratica, che non esiste più a scapito della sola attività teorica.
Una quotidianità stravolta per chi, come i bambini, vivono di fiducia, abitudini e routine.
E forse consci di tutte queste difficoltà, comuni ai genitori ed agli insegnanti, la soluzione scelta dalla nostra classe politica è stata quella del “tutti promossi e via”, dimenticandosi che attualmente il 60% dei bambini ha difficoltà di apprendimento, attenzione e comprensione.

Ancora differente è l’esperienza maturata dai nostri adolescenti.
Una generazione iper-connessa ma sempre più sola, che apparentemente ha retto il colpo e gestito la novità ma che invece si è spezzata nell’interiorità più profonda dell’essere.
Una generazione abituata e avvezza alla vita on-line, per la quale la DAD ha funzionato in termini di fattibilità ed esecuzione ma che ha loro tolto la dimensione spazio-temporale.

Per collegarsi al gruppo o guardare le mail con i compiti non c’è più né giorno della settimana né orario, ci si scrive ad ogni ora del giorno o della notte.
Si tratta di ragazzi immobilizzati da un torpore esistenziale da cui non riescono ad uscire ed a cui fa eco una voglia di ritorno alla normalità che appare difficile o quasi impossibile.
Sono infastiditi e scocciati da una presenza e da un controllo genitoriale a cui non erano più abituati e che sembra prevaricare la loro scalata all’indipendenza e alla costruzione di forti legami affettivi extra-familiari.
Molti sono inoltre spaventati temendo di vedere vanificato dal COVID-19, e non valutato nella maniera corretta, il loro intero percorso formativo che terminerà con l’esame di fine ciclo scolastico da tenersi secondo “nuova modalità”.

Forse chi ha pensato di lasciare i genitori di bambini, adolescenti, ragazzi in questa situazione fino a settembre li ha pensati come ad una categoria di supereroi: è giusto, perché in fondo lo sono, ed in questo periodo lo hanno dimostrato.
Tuttavia, anche i supereroi alla lunga cedono, e se 50 giorni vissuti in questa maniera iniziano ad essere un bel peso, figuriamoci 4 mesi, da qui a settembre.

Per tutte le fasce d’età considerate non è corretto pensare che i genitori possano sostituirsi per competenza a figure fondamentali come quelle degli insegnanti, che si parli nel breve o nel lungo termine, dato che si toglie loro un importante punto di riferimento extra-familiare durante la loro crescita e, di contro, si sottrae ai docenti la possibilità di svolgere il fondamentale ruolo educativo e formativo.

E per tutte le fasce d’età considerate la DAD è estremamente democratica, creando uguali disparità e discontinuità nella formazione.
Come è democratica nel rapporto genitori-figli, con i figli che non hanno un efficace programma formativo ed i genitori che impazziscono per gestire al meglio la contemporanea incombenza di attività lavorative e lezioni domestiche.
La DAD non dovrebbe quindi essere considerata come la normalità, ma come un piano di riserva da mettere in atto in assenza di qualsiasi altra possibile soluzione, forse più complicata da programmare e gestire, ma sicuramente più efficace e per tutti produttiva.

Il discorso è ampio ed andrebbe ricondotto non solo a quelli che sono considerati i doveri dei genitori, ma anche a quelli che dovrebbero essere considerati i doveri fondamentali di uno Stato.

Il diritto all’educazione, all’istruzione, alla socialità, alla relazione non prevaricano di certo il diritto alla salute.
Ancor più se si ragiona numeri alla mano, si nota che la fascia d’età esclusa dalle scuole, dell’infanzia, primaria e secondaria, è in assoluto la meno colpita dal COVID-19; sorprendentemente è invece la fascia d’età che paga il prezzo più alto in termini di esclusione sociale e relazionale.

Siamo a maggio e, tra mille incertezze, già si sa che fino a settembre, tra ben 4 mesi, le scuole resteranno chiuse.
Il Governo ha il vantaggio del tempo e, come insegna la saggezza dei proverbi, chi ha tempo non aspetti tempo.
Lo sfrutti quindi per interventi di edilizia scolastica, necessari per definire le nuove modalità didattiche e per non dividere ulteriormente gli alunni, penalizzando ancore le famiglie
Lo sfrutti per ridisegnare le scuole con classi di non più di 15 alunni, abolendo finalmente e definitivamente le “classi pollaio”.

Guardando il lato positivo, ogni crisi genera nuove opportunità ed il COVID-19 ci sta dando la possibilità di pensare ad una nuova scuola, più giusta, attenta e di qualità, ove anche la relazione alunno-insegnante dovrà tornare in primo piano.

Guardando però il lato negativo, si ha la sensazione che questa lunga chiusura abbia fini differenti dalla salvaguardia della salute dei nostri giovani e questo diverrà evidente nei fatti in un futuro molto prossimo.

Valutare attentamente ciò che è bene e ciò che è male per loro è un nostro diritto ed un nostro dovere, e per l’amore che nutriamo verso i nostri figli, che forse è l’amore più puro e disinteressato, ci dobbiamo battere per i loro diritti.

Il loro diritto allo studio è parte fondamentale di questa battaglia.

 

 

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