Cronaca sanitaria

ENNESIMA REAZIONE AVVERSA GRAVE AL VACCINO

Grave danno da #vaccino in Emilia Romagna: #MinSalute condannato più volte per ritardi

Grave danno da #vaccino in Emilia Romagna: #MinSalute condannato più volte per ritardi
  • ENNESIMA REAZIONE AVVERSA GRAVE AL VACCINO
4 - 7 minuti di lettura

Una reazione avversa grave al vaccino, come recita il Tribunale, da portare all’”assistenza continua e cure particolari”.

Il calvario per una famiglia dell’Emilia Romagna che ottiene nel 2013, con sentenza definitiva del Tribunale di Modena, il riconoscimento del danno a seguito di una grave reazione avversa al vaccino.

Al danno irreparabile si aggiunge la beffa: un “tira e molla” da parte del Ministero della Salute che alterna comportamenti più che discutibili, tra mancate risposte e promesse di pagamenti imminenti che sistematicamente non si verificano.

Una famiglia già straziata dal dolore che deve reagire con ulteriori ricorsi, il primo nel 2016 al TAR, per ottenere gli arretrati della Legge 210/92, e ancora nel 2019, dopo ben sei anni dal riconoscimento definitivo, per l’indennizzo riconosciuto dalla Legge 229.

Nuovo ricorso e ennesimo risultato che porta sempre alla medesima sentenza: condanna al Ministero della Salute affinché dia seguito agli indennizzi riconosciuti al danneggiato.
C’è da chiedersi se l’informazione tanto auspicata in materia di vaccini converge anche sul mettere a conoscenza le famiglie di questi retroscena.

Come riconosciuto dal Tribunale di Modena in via definitiva nel 2013, la famiglia ottenne, sulla carta, l’indennizzo previsto dalla legge.
Si parla di un grave danno, come la stessa sentenza recita, che comporta “cure particolari e assistenza continua”.

Nonostante questo, il Ministero della Salute non provvede ad erogare l’indennizzo e costringe la famiglia ad ulteriori due cause al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna.
La prima causa, mirata all’ottenimento dell’indennizzo per la Legge 210, si conclude nel 2016.
La seconda, che si conclude nel 2019, verte all’ottenimento dell’indennizzo per la Legge 229.

Il Ministero della Salute viene quindi costretto al pagamento entro “il termine di 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione, con riserva di successiva nomina di un Commissario ad acta, affinché provveda in sostituzione dell’Amministrazione, nell’ipotesi di ulteriore inerzia della stessa”.

Con la sentenza del 2019, il TAR dispone sostanzialmente che, in caso di ulteriore mancato pagamento, si debba procedere con il commissariamento del Ministero della Salute che, solo a quel punto, darebbe seguito al pagamento di quanto riconosciuto ancora nel 2013.

Precisiamo che, alla data della sentenza (Febbraio 2019) la famiglia non aveva ancora percepito buona parte dell’indennizzo previsto dalla Legge.
La Legge 229 prevede due norme relative all’indennizzo, l’art. 1 relativo a una pensione mensile e agli arretrati dal momento della domanda di riconoscimento, l’art. 4, cosiddetto “una tantum”, per la parte intercorrente tra l’evento dannoso e la domanda di riconoscimento fino ad un massimo di 10 annualità.

Nella sentenza è infatti riportato che, durante la causa, i genitori trovarono nel settembre 2018 un bonifico relativo all’art. 1 (dopo ben cinque anni dal riconoscimento definitivo del Tribunale).
Infatti, nel dispositivo della sentenza del TAR del 2019, si condanna il ministero a pagare l’indennizzo previsto dall’art. 4.

Ma perchè avviene tutto questo?

E’ una domanda che ci si pone spesso e seriamente, perchè questa non è l’unica causa mirata all’ottenimento di un indennizzo già riconosciuto da un precedente Tribunale.

Lo scorso 13 novembre abbiamo pubblicato un articolo che raccontava una storia molto simile dove, in quel caso, la condanna arrivò direttamente dal Consiglio di Stato.
In quella circostanza ci fu anche l’aggravante del decesso della protagonista durante il procedimento giudiziario.
Il caso vide l'integrazione della "Riforma Madia", il CdS condannò infatti la Pubblica Amministrazione per il rilevante ritardo dei pagamenti dovuti nei confronti del cittadino.

Sono molte le cause che tendono tutte verso lo stesso risultato, tutte nascoste negli atti giudiziari e nella burocrazia dei tribunali.
Sembra la solita storia infinita, con la speranza da parte di chi gestisce i “giochi” presso il Ministero della salute, che lo stesso danneggiato o i familiari mollino letteralmente il tiro, vuoi per sfinimento o peggio.
Perché troppo spesso, in queste cause, si aggiungono errori di calcolo sugli arretrati, sulle rivalutazioni, con la conseguenza di ulteriori procedimenti e ricorsi.
Anni e anni persi nelle aule dei tribunali che non di rado hanno visto il decesso del danneggiato e dei loro familiari, con la rinuncia degli eredi nel proseguire con ulteriori cause.

Perchè queste cause costano, in molti sensi, anche a livello economico e per questo molte famiglie sono costrette a rinunciare, non avendo alcun sostegno durante il lungo periodo che passa dal ricorso alla sentenza definitiva.
Soprattutto quando nemmeno quest’ultima viene rispettata dando seguito ad ulteriori procedimenti, da portare allo sfinimento.

Alle domande sul perché avvengono queste situazioni, andrebbero aggiunte altre forse con risposta alquanto scontata: in questi ricorsi avviati dalla PA, chi paga l’avvocatura di Stato che sembra posta li con il mero scopo di allungare solamente i tempi. 

Ma soprattutto, chi paga gli errori commessi nei confronti di famiglie che hanno già subito il danno più grande, ovvero una salute compromessa e in maniera irreversibile o addirittura la morte?

Nei centri vaccinali, per normativa, deve essere esposta e visibile la cartellonista relativa alla Legge 210/92 che regolamenta l' "indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni".
Disposizioni che sono state peraltro ribadite dalla legge di conversione del decreto legge n. 73 convertito poi nel luglio 2017 nella Legge 119 (denominata anche Legge Lorenzin).
In particolare la L. 210/1992 stabilisce che "Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato" (art. 1).

Per ottenere l’indennizzo, i soggetti interessati devono presentare alla ASL di competenza la domanda, che va indirizzata anche al Ministero della Salute.
Questo deve avvenire entro il termine perentorio di tre anni, che decorre dal momento della conoscenza del danno.
Da qui parte la valutazione del nesso causale tra la vaccinazione e “la menomazione dell’integrità psico-fisica o la morte”, che deve avvenire attraverso una commissione medico-ospedaliera.

La normativa prevede l’ammissione al ricorso da parte del Ministero.

Originariamente l’indennizzo nei confronti delle persone danneggiate era escluso se la causa derivava da vaccini non obbligatori per legge, ma raccomandati dalle autorità sanitarie.
Ma in tal senso si espresse la Corte Costituzionale nel 2012, andando a estendere a tutti i vaccini l’applicabilità della Legge nei confronti dei soggetti danneggiati.


Questo avvenne poiché "in un contesto di irrinunciabile solidarietà … la misura indennitaria appare per se stessa destinata non tanto, come quella risarcitoria, a riparare un danno ingiusto, quanto piuttosto a compensare il sacrificio individuale ritenuto corrispondente a un vantaggio collettivo: sarebbe, infatti, irragionevole che la collettività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati" (Corte Cost. n.107/2012).

Non pubblichiamo direttamente la sentenza in quanto il TAR dell’Emilia Romagna continua a pubblicare, in piena violazione della privacy della famiglia, i dati della famiglia e del minore.

La documentazione la potete comunque trovare direttamente qui (sentenza n. 188 del 25 febbraio 2019 TAR Emilia Romagna).

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