Cronaca sanitaria

IL CALVARIO DI UNA RAGAZZA DI BRESCIA DI 24 ANNI

Pericardite acuta con versamento pericardico e linfoadenopatia con ascesso. Esito dopo 1^ dose vaccino Pfizer

Pericardite acuta con versamento pericardico e linfoadenopatia con ascesso. Esito dopo 1^ dose vaccino Pfizer
  • IL CALVARIO DI UNA RAGAZZA DI BRESCIA DI 24 ANNI
11 - 21 minuti di lettura

Questo il risultato di una prima dose di vaccino Pfizer, avvenuta l'8 maggio a Brescia.

Michela, 24 anni, sportiva e in salute, sente l'esigenza di seguire la massa e chi le diceva che la vaccinazione era importante, dimenticandosi però di segnalare accuratamente le potenziali conseguenze, molte delle quali già riportate su un bugiardino costantemente in aggiornamento.

Un consenso informato precario, privo di adeguate informazioni, abbandonato a pochi minuti di colloquio presso il centro vaccinale prima dell'inoculazione.

Una pericardite acuta con versamento pericardico (insieme a una linfoadenopatia con ascesso), patologia riconosciuta non senza difficoltà e dopo tre mesi dall'evento, in mezzo a una omertà di livello inaudito e proprio in questi giorni.
Ciò nonostante i numerosi studi che confermano queste reazioni soprattutto tra i giovani.

L'insistenza di alcuni medici e personale ATS nel volerle somministrare perfino la seconda dose, sperimentando l'uso di un farmaco per evitare una ulteriore reazione avversa.
Il tutto inserito nel contesto di uno scaricabarile di responsabilità anche solo per ottenere il documento di esonero e la possibilità di un green pass che le spetterebbe senza alcun motivo di discussione.

Ne avevamo già parlato il 9 giugno 2021 facendo il punto della situazione sull'incidenza della Covid-19 sui giovani.
E lo facemmo sottolineando le controverse parole del militare al quale in Italia viene affidata la gestione di una "pandemia" dai risvolti molto controversi: «Mai nella storia dell'uomo, si è iniettato in pochissimo tempo decine di milioni di dosi di vaccini, senza saperne esattamente l'esito. Se non quello sperimentale che ha portato all'approvazione da parte della comunità scientifica».

Quanto sia palese la sperimentazione sull'uomo, dagli anziani ai giovani, oggi non c'è alcun dubbio.
Ma nonostante siano ormai numerosi i casi di miocardite e pericardite che già provenivano dalle segnalazioni degli studi israeliani, la campagna vaccinale di massa in Italia prosegue omettendo corretta e trasparente informazione.

Soprattutto, sempre nel concetto del consenso informato, manca quella possibilità da parte di una persona potenzialmente sana di poter decidere in serenità se farsi inoculare il vaccino potendo valutare realmente rischi e benefici sulla propria persona.

Tutto questo quando le segnalazioni per reazione avversa a livello europeo, dallo scorso 23 luglio quando avevamo pubblicato i dati, vedono un incremento importante in poche settimane: solo per il vaccino Pfizer si registra un incremento da 296.330 a 341.281 (data ultimo aggiornamento 7 agosto 2021).

2021 08 13 PFIZER

Il database europeo delle reazioni avverse (di cui rimandiamo all'altro articolo sulle istruzioni per la consultazione) mostra, in mezzo ai dati sopra esposti, come reaction group "cardiac disorders" quasi 21.000 persone, e nelle sottoclassi si nota proprio l'incremento dei casi nella grande fascia 18/64 anni:

2021 08 13 PFIZER 2

Destreggiandosi all'interno dei dati troviamo poi tutte le sottoclassi.

Pubblichiamo qui la lettera di Michela che ha voluto testimoniare nel dettaglio quanto successo da quell'8 maggio, giorno in cui era già stata male durante i 15 minuti di attesa post vaccinazione, fino a questi giorni, e ancora quanto dovrà affrontare.

 

Scrivo per raccontare la mia storia, ciò che ho vissuto sulla mia pelle.
Non vedevo l'ora di poter dare voce alle ingiustizie che ho vissuto (e che ad oggi sto ancora vivendo).

Mi chiamo Michela, ho 24 anni, sportiva, in salute (a parte qualche piccolo problema con cui convivo serenamente, uno tra questi l'ipotiroidismo congenito).

L'8 maggio 2021 mi sono recata al centro vaccinale di Sarezzo, in provincia di Brescia, per la prima somministrazione del vaccino anti-Covid.
Sono stata una delle prime ragazze giovani a sottoporsi all'inoculazione in quanto soffro appunto di ipotiroidismo e, inizialmente, si dava priorità ai soggetti fragili e/o con esenzione medica.

Preciso già che è stata una decisione molto sofferta la mia, sono infatti il tipo di ragazza che non prende mai farmaci, a meno che ovviamente non ce ne sia essenzialmente bisogno, ho sempre avuto la fobia anche dei medicinali da banco.

Se ci ripenso ad oggi ancora non so cosa mi sia scattato nella testa quando qualche giorno prima di quel sabato 8 maggio ho cliccato sul tasto 'prenota'.
Forse la paura di essere un giorno obbligata a rinunciare ad una delle cose che più amo, ovvero la palestra, forse la paura di perdere la mia libertà. Diciamo che ero già andata un po' avanti con il tempo, visto che alla fine ciò che temevo è successo.
Ma comunque non sono qui per trovare giustificazioni.

Mi sono recata, dicevo, all'hub vaccinale e ho compilato l'anamnesi in modo particolarmente dettagliato, indicando il fatto di non avere particolari allergie, ma specificando con cura di soffrire di ipotiroidismo, di assumere quindi Eutirox, di avere la sintomatologia del fenomeno di Raynaud senza però avere la malattia conclamata, avendo effettuato due volta la capillaroscopia ed essendo risultata negativa.
(Piccola nota, questa sindrome è un problema di microcircolo che colpisce dita delle mani, dei piedi, talvolta naso e orecchie in momenti di forte ansia o più comunemente a causa del freddo. Gli 'estremi' del corpo insomma.)
Ho fatto le cose con estrema serietà insomma.

Al momento della vaccinazione vera e propria, visibilmente agitata, consegno l'anamnesi e riferisco anche oralmente alla dottoressa ciò che c'è scritto, notando che lei aveva dato solo un rapido sguardo al contenuto del foglio, precisando anche un altro piccolo dettaglio: la morte prematura di mio padre (31 anni) per malattia cardiovascolare sconosciuta (dico sconosciuta perché all'epoca mia madre, distrutta dal dolore, non pensò all'autopsia).

Ricordo ancora l'espressione di sufficienza della dottoressa a questo mio dettaglio: ha fatto spallucce e ha detto che non aveva valenza.
La vaccinazione s'ha da fare insomma e si opta per Pfizer.
Tiro ingenuamente un sospiro di sollievo nel sentire quel nome, visto che fino a quel momento la mia paura era di Astrazeneca pensando che il cugino Comirnaty fosse più sicuro.

Che ingenua.

Firmo il consenso informato.
Mi affido insomma, mi metto nelle mani di quella dottoressa.
Mi sorprende come io riesca a ricordare perfettamente il suo viso, nonostante io sia una persona per niente fisionomista.

L'infermiera mi somministra il farmaco, poi mi vengono consegnati ricevuta della prima dose, appuntamento per la seconda, la lista (incompleta) degli effetti collaterali che avrei potuto, o anche no, avvertire nei giorni seguenti e mi viene detto di attendere seduta per 15 minuti.

Uscita dalla stanza ho subito avvertito una sensazione spiacevole e strana: sentivo come se il braccio non fosse più attaccato al corpo, come fosse addormentato.
Ho chiamato subito la mia mamma e ho iniziato a piangere.
Ero ancora scossa e spaventata, mi chiedevo di continuo se avessi fatto la scelta giusta.
Ho parlato con lei per 10 minuti buoni, poi ho riattaccato.
Subito dopo la testa ha cominciato a girarmi e ho iniziato a vedere nero.
Ho capito immediatamente che stavo per perdere i sensi, così mi sono accasciata a terra.
Subito mi sono ritrovata circondata da medici che mi hanno prontamente soccorsa, mi hanno portata su una sedia a rotelle e mi hanno rassicurata: hai avuto un attacco di panico.

Plausibile penso: effettivamente ero impanicata per davvero.
Dopo un quarto d'ora, vedendo che mi ero completamente ripresa, i medici mi congedano e io torno a casa. Seguono giorni di tranquillità: male al braccio si, ma nulla di eccessivo.
Niente febbre, niente mal di testa, niente stanchezza strana, niente di niente.
Ho pensato subito di averla scampata, di aver sbagliato a preoccuparmi tanto, ho pensato di aver fatto la cosa giusta.

Il giovedì seguente, però, durante una sessione di allenamento, sento uno strano dolore all'inguine.
Mi tocco e avverto un rigonfiamento della grandezza simile ad un boccino, proprio quello che si usa per giocare a bocce.
Penso subito al foglio degli effetti collaterali datomi dall'hub vaccinale sul quale c'era scritto 'Linfonodi ingrossati' come effetto avverso, quindi lì per lì non ci ho dato troppo peso.
Faceva male, era grande, ma volevo mantenere la calma per vedere se entro qualche giorno si sgonfiasse.

Quello stesso sabato averto un dolore al petto, un dolore strano, profondo, non muscolare.
Lo riferisco alla mia compagna, ma non ci diamo troppo peso.
Un dolore intercostale pensiamo, nulla di cui preoccuparsi.

La domenica seguente, dopo una bellissima giornata all'insegna di partite di paintball e divertimento, di nuovo il dolore, questa volta più forte, più profondo, un dolore che mi impediva di respirare correttamente.
Immaginate di avere un elefante seduto sul vostro petto.
Penso subito a mio padre, alla sua morte improvvisa e mi spavento.
Inutile dire che la mia ragazza mi ha portata subito in pronto soccorso, precisamente a Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia.

Mi tengono in osservazione per tre ore, mi fanno gli esami del sangue due volte, due elettrocardiogrammi, una radiografia al torace.
Nulla, tutto negativo, se non per una piccola anomalia nell'ecg (ST stirato se ve lo state chiedendo).

Rifiuto il ricovero per la notte dato che ero stanca, sporca e affamata (ricordiamoci del paintball del pomeriggio appena passato, anche se non ci sono giustificazioni: avrei dovuto restare. Ma ahimè ho sottovalutato la situazione).
Torno a casa con un'impegnativa non urgente per una visita cardiologica.

Il giorno seguente chiamo in ospedale per prenotare, ma i tempi di attesa erano leggermente lunghi: ottobre 2021.
Decisamente troppo.
Decido di chiamare il cardiologo che mi aveva visitata qualche anno prima (avevo 18 anni) ricoverandomi per tre giorni in cardiologia per degli accertamenti riguardanti il decesso prematuro di mio padre e per escludere eventuali patologi ereditarie (esami che includevano holter a riposo, sotto sforzo, capillaroscopia e molti altri).

Intanto i dolori crescevano a dismisura: ora l'elefante non si limitava più a starmi seduto tranquillo sul petto, ma si divertiva a scavare con un coltello nel mio sterno fino a trapassarmi il torace, bucando la schiena.
Un dolore tremendo, come se ci fosse qualcosa che ti mangia dentro.
Su internet si legge 'il dolore di un infarto continuo'.
Non riuscivo a dormire da sdraiata, dovevo per forza dormire in posizione seduta.
Non riuscivo a fare le scale, avevo il fiatone e mi mancava il respiro.

Anche mangiare era diventato difficile, era quasi come se mi sentissi scoppiare perché il cuore batteva più veloce durante la digestione e io annaspavo.

Arriva il giorno della visita cardiologica ed il referto mi viene buttato in faccia come una secchiata di acqua gelata: pericardite acuta con annesso versamento pericardico. Allarmata ed in preda all'ansia chiedo subito informazioni su quella patologia fino ad allora a me sconosciuta e mi viene risposto, ovviamente con aria di sufficienza che no, non è grave, ma che si, potrebbe essere fastidiosa e difficile da curare in quanto tende a recidivare nel tempo e che in qualche caso potrebbe anche cronicizzare.

Alla mia domanda 'Potrebbe essere stata causata dal vaccino Pfizer?' la risposta dello specialista è stata 'Non posso dirtelo, non lo escludo, ma non posso confermarlo'.

Mi lascia andare con la terapia prescritta e tanta rabbia.
Immaginatevi me, una ragazza di 24 anni, una carriera sportiva da agonista davanti, un gara da preparare, sempre stata in salute, mai avuto bisogno di particolari medicine che si ritrova ora ferma, quasi allettata, riposo assoluto, nessuna certezza di ciò che sarà la mia prognosi, abbandonata a se stessa, piena di domande ma senza nessuna risposta.
Ed è solo l'inizio.

Inizia un mese fatto di Brufen, Colchicina, dolori atroci, riposo assoluto, letto, divano, letto, divano.
Mi sentivo uno schifo e, per quanto brutto sia, posso descrivere il mio stato d'animo solo con questo termine.
Mi sono sentita fragile fisicamente per la prima volta nella mia vita, io che ero abituata a sollevare anche 100 chili in palestra ora non riuscivo neanche a fare una rampa di scale senza annaspare. Piangevo ogni giorno, ogni giorno mi chiedevo perché, nonostante i miei dubbi e le mie sensazioni negative, mi fossi precipitata ad inocularmi quello che alla fine è un farmaco sperimentale, senza certezze sugli effetti avversi, né a breve né tanto meno sul lungo termine, cosa mi avesse spinto a fare da cavia.

Sottolineo, ed è doveroso farlo, che all'8 maggio non si erano ancora visti casi di miocardite o pericardite post vaccino, o per lo meno non ne se era ancora parlato, quindi di tanto in tanto pensavo che fosse davvero una coincidenza, che magari avessi già in corso questa patologia e che il vaccino me la avesse 'svegliata' definitivamente.
A posteriori, invece, è emersa tutt'altra verità, che però ancora non viene riconosciuta.

Fortunatamente ho sempre avuto al mio fianco la mia ragazza, che se non la faranno santa è davvero un'ingiustizia, la quale si è subita la mia rabbia, la mia disperazione, la mia sofferenza di quei momenti, sia fisica che psicologica, e mia madre, la quale ogni notte veniva a casa mia per accudirmi, starmi vicina, dato che la mia compagna lavorava di notte.

Voglio precisare inoltre che per ovvi motivi mi sono rifiutata categoricamente di farmi inoculare la seconda dose in data 29 maggio, nonostante la mia dottoressa, nel bel mezzo della malattia, con il cuore infiammato e un linfonodo enorme, spingesse per convincermi a farla.
Per fortuna in questo caso il cardiologo ha dato il suo dissenso.

Inoltre, ci tengo a dire che sono stata io a segnalare il mio effetto avverso ad ATS e farmacovigilanza tramite modulo apposito.
Inizialmente erano stati anche molto gentili e disponibili, peccato che poi si siano dissolti nel nulla.

Il mese infernale è passato e ho iniziato a stare meglio.
Mi è stato dato il via per riprendere, piano piano e con accortezze, la mia vita di tutti i giorni, compresi gli allenamenti.
Chiaro però che mi sono subito accorta che non tutto è tornato come prima: il fiato corto, i dolori, la stanchezza sono rimasti (e rimangono tutt'ora).
Anche il versamento pericardico non si è completamente riassorbito.

Per non parlare del linfonodo inguinale, il quale diventava sempre più grosso e dolorante.
Altro giro, altra visita quindi. Ho eseguito un'ecografia (in clinica privata ovviamente, dato che con impegnativa urgente mi avrebbero visitata di lí ad un mese) e il dottore ha subito confermato il mio sospetto: avevo una linfoadenopatia con ascesso causata dal vaccino.
Quindi al mio cocktail di ibuprofene e colchicina si aggiungeva ora anche una terapia antibiotica (ad ogni modo il mio bellissimo linfonodo è ancora lì bello reattivo ad oggi).

Il tempo passa più o meno tranquillo ed io torno alla mia nuova normalità fino a quando, a metà luglio, non si inizia a parlare di lui, il tanto acclamato, temuto ed odiato Green Pass.
A quel punto inizia la mia preoccupazione per la mia vita sociale (ma come del resto tutti).
Così, convinta di non poter fare la seconda dose per reazione avversa e certa di poter avere un'esenzione, mi reco all'hub vaccinale di Sarezzo.
Da qui inizia il calvario, ma soprattutto mi si palesa davanti l'oscenità omertosa del sistema sanitario.

Inizialmente, dato che nessuno voleva farsi carico della responsabilità del mio caso, c'è stato un 'divertente' e alquanto imbarazzante gioco di passaggio di palla: i medici dell'hub vaccinale, per quanto mi avessero rilasciato un'esenzione temporanea di dubbia validità, mi dicono che, per ottenere quella definitiva, dovevano valutare il caso con il primario (ancora non ho capito di cosa o chi sia costui), in seguito sentire il mio cardiologo e per finire il mio medico curante.
Chiamo il cardiologo e mi risponde che lui non può aiutarmi per ottenere l'esenzione, che per quella devo rivolgermi al medico curante, e non può nemmeno aiutarmi con il confermare che ciò che ho avuto fosse direttamente collegato al vaccino perché 'non ci sono studi sufficienti' a detta sua (nonostante sul sito dell'AIFA fosse scritto palesemente altro).
Chiamo il medico curante per informarlo di ciò, ma scopro che è assente, così mi imbatto in una sfilza di medici sostituti a cui spiegare il mio caso, i quali però non sanno rispondere ai miei dubbi su come ottenere un'esenzione definitiva, né tanto meno darmi assistenza.

Mi si consiglia di sentire ATS, la quale mi risponde che loro non possono farci niente, il loro compito è solo quello di raccogliere i dati e le segnalazioni degli effetti avversi, per il resto la responsabilità è di altri.
Di chi non mi è ancora ben chiaro.

Continuo a sollecitare il centro vaccinale per capire a che conclusione fossero arrivati, convinta ancora di essere assolutamente nei canoni per ottenere l'esenzione definitiva.
Poi una domenica succede l'incredibile: il medico sostituto della mia dottoressa mi contatta e mi dice che vedrà proprio quel giorno il responsabile dell'hub vaccinale Fiera di Brescia e che con lui e il mio cardiologo avrebbero deciso se inocularmi la seconda dose o approvare un'esenzione.
Mi dice che mi avrebbe richiamata verso il primo pomeriggio, dato che ne avrebbero discusso non prima di mezzogiorno.
Ore 12.40: il dottore mi chiama e, tutto fiero di se stesso mi propone una vaccinazione lampo senza prenotazione, come se io non aspettassi altro.

Sottolineo che la decisione è stata presa senza volermi né vedere, né parlare di persona, guardando molto sbrigativamente i miei referti (capirete perché dico 'sbrigativamente' a seguito) e senza voler approfondire il caso con ulteriori esami, assicurandosi magari in primis che la patologia si fosse completamente risolta.

Ricordo infatti che l'ultimo ecocardiogramma fatto risale a giugno, qui eravamo agli ultimi di luglio.
Vero che in quel momento stavo bene, ma si parla di un effetto avverso grave al pericardio, non di certo di un raffreddore.

Ho subito rifiutato, sollevando anche qualche mio dubbio: se avessi accettato, chi si assumeva la responsabilità di eventuali danni?
Sarei stata tutelata almeno per la seconda volta?
Ovviamente la risposta è stata negativa.
Responsabilitá ancora al 100% mia.

Altro dubbio: se alla prima dose il mio corpo ha reagito in questo modo, ovvero infiammandosi a livello di cuore e linfonodi, come si può essere sicuri che con la seconda dose non mi accada lo stesso, o magari peggio?
A questa domanda la risposta è stata 'Non si può sapere'. Una roulette russa con la mia vita, insomma.

Ho quindi esposto un secondo dubbio: le esenzioni, se non spettano alle persone come me che hanno avuto una reazione importante, a chi spettano? Nessuna risposta soddisfacente nemmeno a questa domanda.

Mi viene anche detto che per prendere questa decisione era stato contattato indirettamente il mio cardiologo, ovvero era stato sentito il figlio di quest'ultimo.
Già, un po' come alla fiera dell'est, che al mercato mio padre comprò.

Capite con che serietà queste persone prendono decisioni riguardo la salute altrui? Decisa a voler ottenere l'esenzione, chiamo il cardiologo il quale però si dimostra di una freddezza agghiacciante: per lui io sono guarita, il mio cuore è sano, posso vaccinarmi.
Il farmaco è nuovo quindi non si può escludere nulla, ma l'importante è vaccinare.

A quel punto sono distrutta psicologicamente. Mi sento sola, abbandonata, senza nessuno che mi tutela come persona.
Sono solo un numero, devo essere vaccinata nonostante io abbia dimostrato di avere avuto un effetto assolutamente correlabile al vaccino.
Inoltre non si conoscono i rischi. Tutto a scatola chiusa.

Il giorno dopo il dottore mi richiama: ha cambiato misteriosamente idea.
Ora vuole farmi fare una visita cardiologica, il motivo? Vuole trovare un precedente che possa essere la causa della mia pericardite per escludere la correlazione al vaccino, magari un qualcosa che c'entri con la morte prematura di mio padre o fosse causato indirettamente da una malattia autoimmune.
Strano, al momento della vaccinazione la morte di mio padre per infarto non era un problema, ora invece lo era diventato e le analisi per le malattie autoimmuni il mio cardiologo me le aveva prescritte qualche mese prima ed erano risultate tutte negative.
Mi richiede i referti del cardiologo in quanto le foto mandate non si leggono bene, fa fatica a capire quanto scritto, eppure lui stesso mi aveva detto di averle mostrate al responsabile del centro vaccinale il giorno prima e di aver pure sentito indirettamente il mio cardiologo.
Strano.Tutto decisamente molto strano.

Decido di tagliare corto e prenotare una visita privata per conto mio.

Passa una settimana e la mia sintomatologia peggiora: aumenta il fiato corto e aumentano i dolori, i quali stavolta partono dalla schiena fino ad irradiarsi al petto.
La mattina del giorno della visita, prenotata per il tardo pomeriggio, ricevo una chiamata da un numero privato: l'hub vaccinale di Sarezzo.
Una signora, presumo la 'segretaria', mi dice che i 'suoi' medici, con parere favorevole del cardiologo, hanno valutato il mio caso e che sono pronti a vaccinarmi la settimana prossima, ma che per prepararmi alla somministrazione del vaccino dovrò assumere per 7 giorni un altro farmaco, di cui ora non ricordo il nome.
Parto col piede di guerra, stufa di questo teatrino.

Le dico che presento ancora i sintomi della pericarite, le chiedo se è saggio sottopormi a vaccinazione senza nemmeno ripetere una visita di controllo per assicurarsi che tutto sia okkei, le chiedo se sono sicuri che una volta ripetuta la vaccinazione io non diventi completamente un soggetto cardiopatico e in caso di mostrarmi le evidenze di questo studio.
Lei di tutta risposta mi dice 'Io mi fido dei miei medici'.
La mia risposta 'Mi sono fidata la prima volta, non ci casco la seconda. Non gioco alla roulette russa con la mi vita.'.
Detto ciò ho ovviamente rifiutato ogni tipo di appuntamento per eventuali seconde dosi.

Il pomeriggio stesso eseguo la visita con una cardiologa degna di questo nome: mi visita da cima a fondo, in modo molto scrupoloso, ma soprattutto mi ascolta.
Mi dice che la terapia che ho assunto nel momento della malattia acuta non è sufficiente, bisogna potenziarla perché presento ancora un minimo versamento pericardico.
Inoltre mi dice che in queste condizioni non posso assolutamente ricevere la seconda dose di vaccino, in quanto presento ancora infiammazione e si andrebbe a peggiorare ulteriormente il quadro.

Altra cosa molto importante: finalmente ho la conferma della correlazione vaccino-pericardite.
È lei stessa a confermare il mio, ormai fondato, sospetto.
Detto questo, mi rilascia un'esenzione dove attesta che da qui a sei mesi io non posso ricevere nessun tipo di vaccino perché incompatibile con i miei problemi e patologie.
Se ne riparlerà quando ci saranno maggiori evidenze scientifiche e studi più approfonditi, o con una eventuale nuova terapia / un nuovo vaccino.
Mi prescrive anche una risonanza magnetica da prenota di lì a due settimane, per poter studiare approfonditamente il caso e vedere meglio le condizioni del mio pericardio. Vuole andare a fondo insomma.

Come era giusto fin dall'inizio.

E non lo fa per voler tornare una possibile escamotage per discolpare il vaccino, ma semplicemente per tutelare me come persona e la mia salute.
E questo mi ha veramente confortato.

Inutile descrivervi la mia felicità: finalmente ero riuscita a fare valere i miei diritti di persona, nonché a trovare una persona competente che mi tutelasse.
Certo, c'è anche un piccolo neo: per tre settimane sono costretta a fermarmi dagli allenamenti.
Per me che stavo preparando una gara sicuramente non è il massimo.. ma, anche se con amarezza, il fermarmi sarà una cosa che accetterò per la seconda volta.

La battaglia con il centro vaccinale però non è terminata.
Per ottenere l'esenzione devo per forza parlare con il medico, in quanto lui vuole 'levarsi di dosso' la responsabilità di eventuali danni che potrei presentare per mancata vaccinazione in caso io prendessi il Covid.
Strano, se avessi deciso di vaccinarmi non avrei dovuto parlare con nessuno nonostante avessi avuto una pericardite post prima dose, fosse stato per loro non avrei dovuto fare neanche mezza visita.
Non so cosa sarebbe successo se mi fossi fidata un'altra volta, ma è chiaro che le cose non tornano.

Poteva andarmi bene? Forse si.
Poteva andarmi male, se non peggio? Anche qui, la risposta è sempre la stessa. E allora perché rischiare?
Perché giocare così con la vita di una persona, perché rischiare di renderla cardiopatica quando le esenzioni ci sono proprio per i casi come il mio.
Perché avere fretta di vaccinarmi, senza aver compiuto studi sul mio caso, senza avere delle certe rassicurazioni con le quali si può affermare con sicurezza che il rischio di reazione avversa sia veramente al minimo?
Perché, nel mio caso delicato, con tanto di effetto avverso segnalato nel bugiardino dell'AIFA, non andarci con i piedi di piombo come ha giustamente fatto la cardiologa?
A quanto pare io ero un soggetto 'raro', quindi da studiare. Quando io chiedevo tutela mi veniva risposto che la scelta e la responsabilità erano sempre e comunque mie, nonostante tutto ciò che è successo con la prima somministrazione.
Ora invece il medico fa di tutto per tutelarsi.

Perché per tutelare loro stessi sono davvero molto solerti, quando invece si tratta di tutelare la vita di un paziente, come nel mio caso, le cose sono ben diverse.

Michela

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